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Questo articolo è stato pubblicato il 14 ottobre 2011 alle ore 18:30.
L'ultima modifica è del 14 ottobre 2011 alle ore 14:20.

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L'opposizione che diserta la prima chiama della fiducia per ostacolare il raggiungimento del quorum, ma i radicali votano subito vanificando ogni sforzo («gli stronzi sono stronzi...», dirà un'arrabbiatissima Rosy Bindi). Le assenze su entrambe le sponde che rendono incerto l'esito del match. Mentre il pidiellino Maurizio Lupi ipotizza la vittoria della maggioranza a partita ancora in corso («322 voti alla prima chiama, 315 voti per la fiducia»). E, quando l'arbitro fischia la fine, ecco il responso della Camera: 316 i sì e 301 i no. Il Cavaliere e la sua maggioranza si salvano anche questa volta, dunque. E Berlusconi si mostra soddisfatto: «È l'ennesima figuraccia dell'opposizione». Ma Dario Franceschini, capogruppo del Pd alla Camera, vede il bicchiere mezzo pieno. «A ogni fiducia perdono pezzi». Fuori, intanto, esplode la protesta degli indignati con il lancio di uova contro Montecitorio e il blocco del traffico nelle vie del centro di Roma.

Il premier al Colle dopo il Cdm. Nel pomeriggio l'incontro con Bini Smaghi
Nel pomeriggio, dopo il Cdm - in cui arriveranno i «dolorosi tagli» ai ministeri, chiarisce il premier non prima di aver ringraziato Tremonti «per i conti in ordine» - Berlusconi sale poi al Colle «ma è un incontro già previsto e non sui temi di oggi». Sul tavolo, come spiega lo stesso Berlusconi - che nel pomeriggio trova anche il tempo di incontrare a Palazzo Grazioli, il membro della Bce, Lorenzo Bini Smaghi - anche la delicata partita della successione ai vertici di Bankitalia. «Abbiamo tante possibilità, abbiamo tempo, ne parlerò oggi con il capo dello Stato». Quanto all'altro nodo, il decreto sviluppo, il nuovo timing fissato dal premier è il seguente. «Arriverà la prossima settimana».

Le assenze dell'ultima ora nelle fila maggioranza
Tornando al campo di Montecitorio, le squadre si studiano fino all'ultimo. E, man mano che passano i minuti comincia a delinearsi il risultato. Nella maggioranza votano sì Scajola (ma due dei suoi, Destro e Gava, danno forfait e passano al Gruppo Misto), e anche Miccichè con tutta la sua pattuglia. Si defila in zona Cesarini l'ex responsabile Sardelli che pure il Cavaliere cerca di dissuadere a partita cominciata. Votano poi due incerti della vigilia: Ascierto (Pdl) che arriva in aula con le stampelle e Stefani (Lega), la cui presenza era data in forse a causa di una polmonite. Manca invece all'appello anche Versace, da poco migrato dal Pdl al Misto, che si fa vedere in Transatlantico ma ribadisce il suo niet. Assenti, infine, Mannino e, sull'altra sponda Tremaglia, Buonfiglio e Gaglione.Ci sono e votano subito "no" i cinque radicali (manca la Zamparutti) dopo essersi smarcati anche questa volta dalla linea dell'opposizione che sceglie invece di entrare in aula solo durante la seconda chiama. Ma i radicali lanciano un bell'assist al Cavaliere poco prima del fischio finale.

Berlusconi sicuro prima del voto: agguato fallirà
Un voto al cardiopalma dunque, ma in aula i sussulti arrivano solo quando comincia la prima chiama per la fiducia. Perché, mentre nei corridoi si snocciolano gli ultimi conteggi, non senza timori per le defezioni last minute, le dichiarazioni voto non riservano sorprese. Con il Cavaliere che, poco dopo l'inizio del match, si accomoda tra i banchi del governo dove sono giù seduti il ministro Elio Vitto e il collega Raffaele Fitto. Il premier non si ferma a parlare con i cronisti, il viso tirato prima della partita. Parla poi per ribadire che «batteremo la sinistra, l'esecutivo stasera ci sarà ancora» e che su Bankitalia non serve accelerare: «Abbiamo tempo fino all'1 novembre». L'agguato, dirà poco dopo, «fallirà anche questa volta».

Opposizione diserta la prima chiama
In aula intanto, prima del responso finale, filano via anche le dichiarazioni di voto. Con il segretario del Pri, Francesco Nucara, che apre le danze annunciando il "sì" della mini-pattuglia alla fiducia anche se «i repubblicani non sono soddisfatti della politica del governo». Nessuna critica arriva invece da Silvano Moffa, capogruppo di Popolo e territorio (gli ex Responsabili), che difende la maggioranza. «Siamo stanchi dire che qui c'è il baratto voto. Se mai il baratto è dall'altra parte». Ma non ci sono contestazioni o mugugni dai banchi dell'opposizione, ancora semivuoti. Perché il centro-sinistra prosegue sulla linea dell'Aventino disertando anche la vigilia del voto e poi la prima chiama. Ultime strategie per provare a stringere all'angolo la maggioranza.

L'affondo di Cicchitto contro Fini: se non è super partes si dimetta
La temperatura dell'aula sale quindi a poco a poco. E il clima comincia a surriscaldarsi quando dopo Marco Reguzzoni, capogruppo della Lega al Carroccio - che invoca senza grande convinzione «impegni concreti in termini temporali» da parte della maggioranza, a cominciare dalla riforma costituzionale Bossi-Calderoli - a prendere la parola è il numero uno dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto, che torna a infilzare in aula il presidente della Camera, Gianfranco Fini chiedendone un passo indietro. «Se lei non è in condizione di fare il presidente della Camera restando al di sopra delle parti, deve dimettersi e partecipare a tempo pieno alla lotta politica», è l'invito rivolto a Fini da Cicchitto. Che ribadisce poi la necessità di un decreto sviluppo «non a costo zero» - come invece vorrebbe il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti - e l'esigenza di lavorare sull'abbattimento del debito pubblico. Ma soprattutto la via del voto se il governo sarà sfiduciato. «Senza la fiducia l'unica strada sono le elezioni».

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