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Questo articolo è stato pubblicato il 30 ottobre 2011 alle ore 16:09.

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«Cameron non toccherà gli accordi con la Ue». Il suo vice Clegg prende le distanze dal premier britannico in un'intervista all'Observer«Cameron non toccherà gli accordi con la Ue». Il suo vice Clegg prende le distanze dal premier britannico in un'intervista all'Observer

LONDRA - L'alta tensione che attraversa il governo di coalizione britannico in seguito alla crisi dell'eurozona, e soprattutto alle misure deliberate per superare l'impasse dei 17, è esplosa con un duro attacco ai conservatori. Lo ha firmato il vice premier e leader liberaldemocratico Nick Clegg, il più europeista fra i governanti e anche fra i politici del Regno. In un'intervista all'Observer ha definito un "suicidio economico" la linea adottata dai deputati Tory euroscettici che nei giorni scorsi hanno proposto un referendum per l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea.

Il timore, lo ricordiamo, è che una più stretta integrazione delle politiche fiscali da parte dei Paesi dell'eurozona porti a una crescente emarginazione di Londra a Bruxelles, condannandola a un ruolo secondario nella gestione del mercato interno. Per l'Inghilterra è essenziale preservare le regole che scandiscono la vita della City, che gli euroscettici ritengono essere minacciata da un'azione concertata di Parigi e Francoforte. Per questo, anche il premier David Cameron, è favorevole a rinegoziare, al momento opportuno, i termini dei trattati dell'Ue. Un'ipotesi che il suo vice ha escluso. «Non saremo noi a fare per primi una richiesta per cambiare gli accordi esistenti», come dire: se accadrà, per volontà di altri, faremo le nostre mosse, ma non daremo mai il fuoco alle polveri. Un'intonazione molto diversa da quella espressa fino a ora del premier.

Non solo. Nick Clegg ha voluto anche rivolgersi a chi crede che Londra potrà sempre contare sulla speciale relazione con l'America. «Noi siamo ascoltati a Washington – ha ribadito – solo perché siamo ascoltati a Bruxelles, Parigi e Berlino». Ovvero: se saremo ai margini dell'Unione lo saremo anche nella partnership con gli Usa. La divaricazione all'interno della coalizione che governa la Gran Bretagna va quindi ampliandosi confermando i timori che la crisi europea possa rivelarsi mortale per la coppia conservatori-liberali che pilota Downing street.

E questo avviene in un momento sempre più difficile per l'economia. Questa settimana si prevede che l'ufficio nazionale di statistica rivelerà una crescita del pil su base trimestrale dello 0,3%, più dello 0,1 del precedente trimestre, ma lontano dagli obbiettivi che Cameron si era dato. La crisi morde a fondo, quindi. Tanto a fondo da aver spinto più di 100 economisti a scrivere una lettera all'Observer sollecitando il premier a smentire il suo cancelliere, George Osborne. Gli accademici invocano misure più morbide per superare il disavanzo inchiodato al 10% del pil. Chiedono un piano B, visto che il piano A promosso da Osborne e fatto di giganteschi tagli alla spesa pubblica – a loro avviso – sta strangolando l'economia del regno di Elisabetta.

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