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Questo articolo è stato pubblicato il 30 ottobre 2011 alle ore 13:51.
L'ultima modifica è del 30 ottobre 2011 alle ore 08:10.

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Nel grigiore dei tempi di crisi, che attraversano il villaggio globale e l'Italia, vorrei fermare per una volta l'attenzione su un evento di bellezza, che - proprio per la sua singolare ispirazione e per la gratuità del dono che lo motiva - può servire a tenere alto lo sguardo e a restare, nonostante tutto, «prigionieri della speranza» (secondo la folgorante espressione del profeta Zaccaria: 9,12).

Parto da una citazione poetica, capace di evocare subito e densamente il messaggio che vorrei trasmettere.
Mon Dieu, pour l'autre clarté Que tu as donnée à mon âme merci… La nuit est venue. Tu fermeras mes yeux avant le jour. Et moi je peindrai de nouveau Des tableaux pour toi Sur la terre et le ciel. Per l'altra chiarezza che hai donato alla mia anima grazie, mio Dio... La notte è venuta. Tu chiuderai i miei occhi prima del giorno e io dipingerò nuovamente le mie tavole per Te sulla terra e nel cielo.
Questi versi di Marc Chagall (Pour l'autre clarté, 1965), uno dei grandi artisti del Novecento, fanno intuire la misteriosa continuità che c'è fra la bellezza percepita nel tempo e la luminosa bellezza dell'Eterno: sulla soglia fra le due sponde, lì dove la notte si appresta a rischiararsi nel giorno senza fine, l'artista dipinge ancora tavole per il suo Signore.

Sono parole che mi sembra illuminino sufficientemente le ragioni per cui il cardinale Dionigi Tettamanzi - a conclusione del suo servizio pastorale a Milano - ha voluto offrire alla sua Chiesa un singolare dono di bellezza: un evangeliario artistico, di cui l'originale sarà destinato al Duomo, e le copie alle centinaia di parrocchie della diocesi più vasta d'Europa. Nelle tavole che lo arricchiscono, la scrittura della luce, che è quanto ogni artista produce attraverso le linee e i colori della sua opera, lungi dal pretendere di catturare il Mistero, mi sembra susciti quel movimento di trascendenza che porta l'osservatore dal riconoscimento della scena del mondo che passa alla riconoscenza dell'eterno. L'esperienza del bello si offre, così, come una finestra sull'illimitato, un rapimento e una ferita dell'anima, un appello e un ritiro, che dalle coordinate del tempo chiama all'eterno e nei segni della storia fa apparire e nascondersi la luce della gloria.

Tutt'altro che accidentale è, dunque, il rapporto fra fede e bellezza: il discorso umano, che più di ogni altro è destinato a dire l'indicibile senza tradirlo - quello delle parole prestate alla Parola - , è costitutivamente chiamato a farsi evento di bellezza. Non a caso né per incidente di percorso il "logos" della fede si apre all'"hymnos", la riflessione alla preghiera, l'esperienza di Dio nell'invocazione e nella carità alle forme dell'arte, in cui risplende l'umile bellezza dell'Altissimo, così invocata da Francesco: «Tu sei carità! Tu sei bellezza! Tu sei umiltà!». Come ricorda Giovanni Paolo II nella Lettera agli artisti, scritta in occasione del Giubileo, «ogni autentica ispirazione racchiude in sé qualche fremito di quel "soffio" con cui lo Spirito creatore pervadeva fin dall'inizio l'opera della creazione. Presiedendo alle misteriose leggi che governano l'universo, il divino soffio s'incontra con il genio dell'uomo e ne stimola la capacità creativa.

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