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Questo articolo è stato pubblicato il 08 novembre 2011 alle ore 08:09.

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Silvio BerlusconiSilvio Berlusconi

di Barbara Fiammeri
Comunque andrà il voto sul rendiconto, Silvio Berlusconi oggi salirà al Quirinale. Il premier continua a smentire le ipotesi di sue dimissioni imminenti, rilanciate in mattinata da Giuliano Ferrara, ribadisce di avere i numeri per andare avanti, sfida i «traditori» annunciando che chiederà la fiducia per vedere se avranno il coraggio di votargli contro ma, allo stesso tempo, è consapevole che ormai la sua sua permanenza a Palazzo Chigi ha i giorni contati. Ieri notte, nell'ennesimo vertice a Palazzo Grazioli, si è fatto il conto di come oggi potrebbe finire il conteggio a Montecitorio. La maggioranza assoluta viene data per persa dopo l'addio di Gabriella Carlucci e, nell'ipotesi migliore, ci si fermerebbe a quota 313. Il passaggio al Colle servirà per fare il punto con Giorgio Napolitano anche in vista dell'avvio della discussione al Senato sul maxi-emendamento alla legge di stabilità.

Il premier in mattinata era volato a Milano per una riunione ad Arcore con i figli, Fedele Confalonieri e Niccolò Ghedini. Il vertice della notte prima gli aveva confermato che ormai tutti si attendono un suo passo indietro. Anche Gianni Letta. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio glielo ha chiesto espressamente. Di più: gli avrebbe 'consigliato' di favorire la nascita di un governo di larghe intese guidato da un persona di indiscussa autorevolezza «anche per i mercati». Insomma «un governo Monti».
Il Cavaliere prende tempo, vuole rassicurazioni. E l'unico a potergliele offrire è proprio Letta, su cui non a caso negli ultimi giorni si sono concentrate le attenzioni quale possibile successore alla guida del governo. «Posso pensare solo a un governo presieduto da te», avrebbe detto inizialmente Berlusconi. Una strada che però lo stesso sottosegretario gli ha detto chiaro e tondo di non ritenere percorribile. «Non sono io a poter rassicurare i nostri partner e i mercati», è il ragionamento che Letta avrebbe fatto al premier. E non è un caso se successivamente Letta ha ricordato pubblicamente il principio della continuità amministrativa: «Nel passaggio da un governo all'altro gli impegni assunti non cambiano, continuano».

Come dire che la lettera alla Bce vincola chiunque arrivi dopo sulla poltrona di Palazzo Chigi. Letta sottolinea di «non auspicarlo», ma essendo uomo parco di parole quell'accenno a onorare gli impegni è più che significativo. Così come significativi sono stati alcuni colloqui del sottosegretario: con Fini e Casini, anzitutto. Un intensificarsi del confronto che lascia intendere di essere ormai prossimi a una svolta. Si parla di un ruolo di Letta come 'garante' del Cavaliere in qualità di vicepremier di un governo tecnico. Ma per ora nulla è ancora certo.

Durante la mattinata si erano diffuse voci di imminenti dimissioni, «a ore, minuti», prima comunque del voto sul rendiconto in programma oggi. La borsa aveva immediatamente reagito in positivo e lo spread con i Bund era diminuito. La notizia pareva infatti più che attendibile visto che a metterci la firma, sia pure on line, erano il direttore del Foglio Giuliano Ferrara e il vicedirettore di Libero Franco Bechis, due quotidiani di area centro-destra. All'ora di pranzo però da Milano arriva la smentita del premier, che definisce «destituite di fondamento» le notizie sulla sua salita imminente al Colle.

Berlusconi è convinto di avere ancora qualche carta da giocare e comunque, se alla fine dovrà dimettersi, vuole arrivarci preparato. La conta di oggi sarà un passaggio fondamentale. Ma il Cavaliere guarda già al passaggio successivo. L'approvazione del rendiconto viene data da tutti per scontata. Si tratta solo di vedere con quanti voti: «Ma se l'opposizione non avrà più voti di noi io vado avanti», ripete Berlusconi che punta invece a sfidare quelli che definisce «traditori» con una mozione di fiducia sugli impegni presi nella lettera Ue da votare in prima battuta al Senato, dove la maggioranza gode di un consenso più ampio. L'idea del premier è che se anche poi alla Camera dovesse perdere, in ogni caso non si potrebbe prescindere da lui. Lo ha ripetuto anche ieri sera: «Se io non sono d'accordo si va dritti a votare».

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