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Questo articolo è stato pubblicato il 20 novembre 2011 alle ore 14:41.
L'ultima modifica è del 20 novembre 2011 alle ore 08:10.

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Che cosa è giusto chiedere e aspettarsi dal governo Monti? Ascoltando il Paese reale, fatto in stragrande maggioranza di gente laboriosa e onesta, alle prese con i problemi quotidiani della vita, vorrei chiedere a questo governo tre cose, che l'autorevolezza e la competenza dei suoi membri mi pare autorizzino a proporre con fiducia.

In primo luogo, c'è grande bisogno di verità e di moralità: il Paese deve sapere come stanno le cose con assoluta trasparenza e deve potersi fidare dell'impegno etico e professionale di chi lo governa. Questo esige una tensione morale alta, costante e vigile, che metta l'equità al primo posto, cerchi in tutto la giustizia e induca chi governa a dare l'esempio, chiedendo anzitutto a chi è chiamato a legiferare di rinunciare a privilegi e di fare sacrifici in misura anche più alta rispetto a quanto domandato a tutti.

Questa temperatura morale - che investe inseparabilmente la dimensione personale e quella sociale e pubblica - ha certamente un costo, arrivando a volte perfino a esigere il coraggio della solitudine: non di una solitudine sprezzante o immotivata, ma di quell'assumersi fino in fondo le proprie responsabilità davanti alla coscienza e alle urgenze del bene comune, che può avvenire solo nel crogiuolo di convinzioni profonde e di un'assoluta libertà da pressioni e interessi forti. Al Presidente Monti e ai suoi ministri vorrei ricordare i versi che Rainer Maria Rilke dedicò alla solitudine più alta e salvifica, quella del Nazareno: «Si sottrae a quelli cui appartenne… / Lo riprende l'antica solitudine / che lo educò all'opera profonda; / ora tornerà a errare nell'orto degli ulivi, / e chi lo ama fuggirà da lui» (Il libro delle immagini, I, 1).
È questo il vero modello cui ispirarsi e a cui affidarsi nelle ore difficili che potranno venire. Una solitudine che va peraltro chiesta a tutti coloro che hanno responsabilità per la casa comune, nella certezza che, quando la nave rischia di affondare, ognuno deve fare la sua parte senza mascherarsi dietro logiche faziose o interessi personali. Senza una simile tensione etica affonderemo tutti.


Una seconda richiesta che ritengo giusto avanzare è quella di tener conto dell'insieme, e cioè dell'unità del Paese in tutte le sue componenti, geografiche, economiche e sociali: sarebbe una vera sciagura lasciarsi condizionare dalla difesa dei privilegi o delle sicurezze di una parte, non solo per le ricadute negative che questo avrebbe sul bene comune, ma anche per l'ingiustizia che comporterebbe nei confronti degli altri, specie dei più deboli. «Il Paese non crescerà se non insieme», affermavano i Vescovi italiani in un importante documento di oltre venti anni fa, dal titolo significativo: "Chiesa italiana e Mezzogiorno: sviluppo nella solidarietà" (1989). E il Presidente Napolitano - che ha saputo essere autorevole e indipendente ago della bilancia in questo tempo non facile - non ha esitato ad affermare più volte: «O questo Paese cresce insieme o non cresce». Mentre i governi della "casa comune" europea cercano di agire di concerto e di intervenire a sostegno delle economie più minacciate, sarebbe follia pensare che una parte della Nazione possa avvantaggiarsi attraverso scelte di isolamento e contrapposizione.

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