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Questo articolo è stato pubblicato il 30 dicembre 2011 alle ore 07:52.

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Monti dimostra di aver appreso l'arte di occupare il centro della scena senza snaturare se stesso. Si può dire che il presidente del Consiglio è molto attento a curare questa immagine di persona severa e competente, misurata nelle parole, persino «banale» (parole sue). Non è un caso, naturalmente: Monti lavora dal primo giorno del mandato a consolidare il cerchio della fiducia e ad apparire in ogni circostanza un uomo affidabile. Ben sapendo che la fiducia è il tassello fondamentale della credibilità, il maggior patrimonio di cui il premier dispone. In Italia e in Europa.

I critici dicono che la conferenza stampa è stata una mezza delusione perché non ne sono uscite misure concrete o particolari novità. Si è avuta conferma di obiettivi in parte già conosciuti: il programma delle liberalizzazioni, lo stimolo alla concorrenza, la flessibilità del mercato del lavoro (senza innescare, beninteso, «tensioni sociali»). Tuttavia è chiaro che proprio questa è la cifra di Monti: il governo non perde tempo, anzi tende a correre più della media dei governi «politici», ma nemmeno si crogiola in annunci mediatici destinati a drogare i mercati per un giorno o due e poi magari a produrre delusioni e cadute repentine.

Questo aspetto spiega forse perchè il presidente del Consiglio si è tenuto alla larga dalle ipotesi di interventi straordinari sul debito pubblico. Ha fatto capire che non è il momento di parlarne; il che non esclude, è ovvio, che stia studiando la questione. Ma evidentemente ne parlerà a tempo debito, se e quando sarà indispensabile. Nel complesso Monti procede con cautela, incurante di chi lo ritiene poco coraggioso e attento piuttosto a non mettere un piede in fallo. Ieri è sembrato rivolgersi soprattutto a tre interlocutori.

In primo luogo, all'opinione pubblica. Gli italiani, benchè schiacciati sotto il peso delle tasse, continuano a guardare al professore milanese con rispetto e soggezione. Sottinteso: meglio essere governati da lui, magari con durezza, che da forze politiche screditate. Qualcosa di simile accadde nel 1981-82 con Spadolini a Palazzo Chigi. Monti gode di una finestra di opportunità che non si chiuderà tanto presto, perché nessuno - a parte i malumori - è oggi in grado di rovesciarlo. Le alternative non ci sono e la pubblica opinione resta la migliore alleata del premier «tecnico». Purché la carta della credibilità non sia intaccata.

Il secondo interlocutore è l'Europa. O meglio, la Germania. Monti si è definito «il più tedesco degli economisti» e ha molto giocato con questa definizione. Essere affidabile agli occhi della Merkel, cancellandone i pregiudizi anti-italiani, rappresenta in effetti un elemento cruciale. Permette all'Italia di negoziare con Berlino, di battere metaforici pugni sul tavolo dell'Unione. «Anche i tedeschi devono conquistarsi la nostra stima» ha detto a un certo punto. È un nodo di fondo: solo convincendo la Germania a riprendere la via dell'integrazione europea si potranno affrontare alla radice i problemi della moneta. E solo un governo italiano credibile potrà farsi valere.

Terzo. Rispetto formale verso i politici e il Parlamento. Il premier bada a non apparire arrogante con i partiti. È prudente e cortese soprattutto nei confronti di Berlusconi, sforzandosi di accentuare gli elementi di continuità con il governo di centrodestra (ben sapendo che l'esecutivo «tecnico» ne rappresenta in realtà l'antitesi). Cita l'«ottimismo» dell'uomo di Arcore e ne riceve in cambio un ringraziamento. Come un rompighiaccio che naviga nella banchisa, Monti sa di doversi aprire la rotta giorno per giorno. Anche per questo indica alle forze politiche un lavoro parallelo sulle riforme da svolgere in Parlamento. Quelle istituzionali e la legge elettorale. Un impegno più che sufficiente per arrivare al 2013.

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