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Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2012 alle ore 19:40.
L'ultima modifica è del 12 gennaio 2012 alle ore 11:27.
Avevano sperato in uno spiraglio dopo la notizia del rinvio del verdetto atteso inizialmente per ieri. Ma oggi i referendari incassano il doppio "no" della Consulta ai due quesiti che chiedevano l'abolizione dell'attuale legge elettorale, quella che lo stesso ideatore, l'ex ministro Roberto Calderoli, definì «una porcata». Confermate, quindi, le indiscrezioni della vigilia che avevano tratteggiato una Consulta schierata, anche se con margini molto stretti, sulla linea del "niet" ai quesiti. Entro il 10 febbraio la Consulta dovrà depositare le motivazioni e, con molta probabilità, come già aveva fatto nel 2008, la Corte ribadirà l'esigenza di correggere il Porcellum, chiamando in causa il Parlamento.
Napolitano: ora tocca a partiti e Camere
In serata, poi, arriva una nota del Colle al termine di un incontro tra il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e i presidenti delle Camere. Al centro del colloquio, si legge nel comunicato, «le prospettive dell'attività parlamentare, con prioritaria attenzione alle riforme istituzionali, anche nelle loro possibili implicazioni costituzionali. Si è espressa la comune convinzione che tocchi alle forze politiche e alle Camere assumere rapidamente iniziative di confronto concreto sui temi da affrontare e sulle soluzioni da concertare. In particolare, alla luce della sentenza emessa dalla Corte Costituzionale nel rigoroso esercizio della propria funzione, è ai partiti e al Parlamento - conclude la nota - che spetta assumere il compito di proporre e adottare modifiche della vigente legge elettorale secondo esigenze largamente avvertite dall'opinione pubblica».
Botta e risposta tra Di Pietro e il Quirinale
Un appello che giunge al termine di una giornata in cui il Colle era stato tirato in ballo da Antonio Di Pietro, leader dell'Idv, dopo il verdetto della Consulta. «Una decisione che non ha nulla di giuridico né di costituzionale, ma è politica e di piacere al capo dello Stato e alle forze politiche di una maggioranza trasversale e inciucista». Dal Colle era così filtrato un forte disappunto: «È una insinuazione volgare e del tutto gratuita, che denota solo scorrettezza istituzionale».
Le reazioni da Bersani a Bossi
Molti i commenti politici. Per Pierluigi Bersani, segretario del Pd, «rispettiamo Corte, ma non siamo contenti». Laconico, invece, Silvio Berlusconi: il Porcellum «è buona legge, ma si può migliorare». E l'ex ministro Roberto Maroni. «Mi aspettavo la decisione, è uno stimolo al Parlamento per fare una nuova legge elettorale». Ma era stato il numero uno della Lega, Umberto Bossi, a spiazzare tutti. «Immaginavo che la Consulta avrebbe detto no ai referendum, altrimenti non ci sarebbe stata più una legge elettorale con cui andare al voto. E comunque la migliore legge elettorale è quella che c'è perchè non si impiegherà tanto tempo ad andare al voto». Infine, per il presidente del Senato, Renato Schifani, «ora la parola definitiva spetta alle Camere, che dovranno tener conto dell'esigenza dei cittadini di poter scegliere da protagonisti i propri eletti».
Doppio no per i quesiti sostenuti dai referendari
Nelle poche righe diffuse da piazza del Quirinale la sconfitta, dunque, delle tesi sostenute dai referendari. «La Corte costituzionale, in data 12 gennaio 2012, ha dichiarato inammissibili le due richieste di referendum abrogativo riguardanti la legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l'elezione della camera dei deputati e del Senato della Repubblica). La sentenza sarà depositata entro i termini di legge». La decisione, fanno sapere dalla Consulta, conterrà un"monito" sulla necessità di cambiare quella vigente, il cosiddetto Porcellum. Un monito che la Consulta aveva inserito già in una sentenza del 2008. Le motivazioni della sentenza non sono state ancora messe nero su bianco: saranno "lette" ai colleghi dal giudice relatore Sabino Cassese in camera di consiglio e quindi approvate lunedì 23 gennaio e poi depositate "a stretto giro di posta", probabilmente nel corso della stessa settimana. La legge stabilisce il 10 febbraio come termine massimo per le decisioni della Corte sui referendum.
Parisi: non sorpreso, continuiamo nostra battaglia
L'ex ministro Arturo Parisi, tra i promotori del referendum, si è detto non sorpreso dalla decisione dei 15 giudici delle leggi. «Anche se il prolungamento della camera di consiglio aveva aperto la nostra attesa alla speranza, tutto posso dichiararmi fuorchè sorpreso», spiega l'ex ministro. «Noi abbiamo fatto la nostra parte», afferma l'esponente Pd, «continueremo la nostra battaglia per interpretare il milione e duecentomila firme raccolte, in modo diverso in Parlamento e ancor più di prima all'esterno di esso». «Vorrà dire che così si farà vivere il governo Monti più tranquillo, fino al 2013...», ha invece spiegato l'avvocato e costituzionalista Alessandro Pace, rappresentante legale del Comitato promotore dei referendum elettorali.
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