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Questo articolo è stato pubblicato il 20 marzo 2012 alle ore 08:12.
L'ultima modifica è del 20 marzo 2012 alle ore 06:36.

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La lettera che Giorgio Squinzi ha inviato ai membri di Giunta mi ha spinto a fare una riflessione più ampia di quella già apparsa sulla prima pagina del giornale scritta dal collega Carlo Guglielmi sul legame organico tra cultura e sviluppo che il Salone del Mobile da più di cinquanta anni offre agli operatori del mondo. Ne ho trovato più di una eco anche nella lettera di Giorgio Squinzi.

Mi ha colpito l'impressione da lui raccolta sulla qualità umana e professionale della nostra base associativa: al Nord, al Centro ed al Sud. L'Italia è più unita di quanto sembri e lo è più di altre nazioni apparentemente monolitiche. Di noi si parla all'estero come di italiani e poi di originari di una regione particolare.
Una base imprenditoriale com'è la nostra, così articolata nel territorio e nei settori, proiettata per necessità vitale - soprattutto in questi ultimi anni - nel mercato aperto, è un valore inestimabile per noi e per il Paese. È una base che resiste al di là di qualcuno che non ce la fa e che è uscito silenziosamente di scena, anche con un gesto estremo. Segno di una resa e di una sfiducia anch'esse estreme.

Rattrista, allo stesso modo, la sorte di quei giovani che nella misura di un terzo, e della metà al Sud, non trovano lavoro e talvolta smettono di cercarlo perché sfiduciati. Tra questi, non pochi hanno una laurea e una specializzazione. È stato indicato loro questo percorso e ora lo scoprono senza sbocco.
Perché parlo di questi problemi? Perché il mondo dell'impresa era uno sbocco di eccellenza che, proprio per le sue sfide, veniva sognato dai giovani come un traguardo. Noi possiamo e dobbiamo contribuire a rigenerare quella fiducia, superando una rigida distinzione di ruoli e di responsabilità. La fiducia di chi lavora e di chi cerca un lavoro è una componente essenziale della nostra credibilità. La distinzione netta tra chi produce ricchezza e chi ne assicura una distribuzione equa, tra produttori e politici, è superata. Tutti siamo impegnati a ridare una prospettiva al Paese, a rincuorare i giovani, a includere le donne nella vita produttiva.

La presidenza di Confindustria uscente ha mostrato in molte occasioni di confronto negoziale, quando è maggiore la tentazione di arroccarsi nelle proprie responsabilità, di condividere questa responsabilità allargata, nazionale potremmo dire con una parola troppo spesso dimenticata.
Giorgio Squinzi ha richiamato i nostri valori ma è andato oltre. Ha segnalato la necessità di apportare cambiamenti al nostro sistema associativo. Semplice: occorre essere pronti all'appuntamento con la ripresa. Un sistema associativo non solo più efficiente, ma, lo dice esplicitamente, attrezzato per il nuovo ruolo da svolgere. Da qui la sua richiesta alla Giunta confederale di partecipare attivamente al lavoro del Presidente designato per la stesura di un Programma della Presidenza, di cui tutti si sia autori e responsabili promotori.

Il superamento delle tradizionali barriere di ruolo, produttori da un lato, sindacalisti e politici dall'altro, ci induce a prendere in carico quei problemi del Paese che sono ben chiari. Ritardo nei pagamenti da parte dello Stato che uccide le imprese fornitrici e in alcuni casi i loro titolari, burocrazia soffocante, corruzione incontrollata, giustizia che non tiene il passo con il Paese e con il diritto costituito, credito che si ritrae quando più serve. Si dice che questi mali sono una crisi nella crisi. Non è più vero. Sono la crisi. Ce lo dicono quei Paesi europei che tengono testa alle difficoltà, perché dispongono di uno Stato efficiente e giusto che sta a fianco di chi lavora.

Rappresento una filiera produttiva che ha resistito in questi ultimi quattro anni cercandosi giornalmente i propri clienti nel mondo. Giorgio Squinzi ne è consapevole protagonista e lo ha pubblicamente ricordato nelle sue dichiarazioni. Ha segnalato la necessità che il made-in-Italy sia più rappresentato in Confindustria. Condivido questa diagnosi e questa esigenza. Non è un interesse di settore; è la vocazione del nostro Paese. Il nostro contributo al Programma della nuova Presidenza svilupperà questo tema, insieme a quello, doveroso e prioritario, dei mali cronici del Paese che mortificano le sue energie. Liberarle sarà l'obiettivo numero uno del Programma.
Roberto Snaidero è presidente di FederlegnoArredo

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