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Questo articolo è stato pubblicato il 06 aprile 2012 alle ore 08:52.

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Umberto BossiUmberto Bossi

Doveva accadere ed è accaduto. Umberto Bossi, il leader indiscusso della Lega, l'uomo simbolo del Carroccio, si è dimesso ieri dalla segreteria dopo 20 anni alla guida del partito. Al suo posto un triumvirato di transizione composto da Roberto Maroni, Roberto Calderoli e Manuela Dal Lago, che guiderà il partito fino al congresso, anticipato probabilmente a giugno. Ieri è stata una giornata inacandescente, forse la più lunga e contradditoria nella lunga storia del movimento.

Con insulti ed epiteti mai sentiti prima d'ora all'indirizzo di Maroni («buffone»). Mentre lo psicodramma coinvolgeva i militanti e i curiosi che presidiavano via Bellerio, all'interno si recitavano le liturgie politiche del consiglio federale d'emergenza, tra le quali la nomina del nuovo tesoriere: la scelta è caduta su Stefano Stefani, 74 anni, ex presidente della commissione Esteri alla Camera e sottosegretario all'Ambiente nel terzo governo Berlusconi, che sostituisce il dimissionario Francesco Belsito, indagato per frode.

Un passaggio che non ha offuscato la vera "rivoluzione" della giornata: il senatùr ha fatto un passo indietro, «per il bene della Lega», hanno detto tutti gli esponenti leghisti presenti e gran parte dei militanti. Di fronte ai rappresentanti del consiglio federale, Bossi ha lasciato la guida del Carroccio in modo «irrevocabile», senza altre parole e commenti. Il peso dell'inchiesta che ha travolto il partito, e che vede indagato l'ex tesoriere Belsito da tre procure (Milano, Napoli e Reggio Calabria) non ha lasciato altra scelta a Bossi. Nessuno dentro il Carroccio lo ha mai detto esplicitamente, perché il leader storico di un partito "leninista" come la Lega non viene mai messo in discussione. Ma era chiaro che l'indagine a carico del tesoriere, accusato di aver girato i rimborsi elettorali alla famiglia di Bossi a scopi privati, fosse troppo pesante perché il senatùr non pagasse un prezzo politico.

In un primo momento i suoi fedelissimi lo avevano consigliato diversamente: resistere per dimostrare di non cedere alle pressioni delle inchieste «a orologeria». Ma poi il senatùr ha preferito seguire i consigli del suo più antico confindente, Bruno Caparini, imprenditore del settore nucleare, classe 1939, tra i padri fondatori della Lega, che fino a ieri sera veniva indicato come possibile tesoriere, ruolo a cui lui, dicono le indiscrezioni, avrebbe rinunciato all'ultimo minuto. Caparini ha preso la parola chiedendo a Bossi di «fare un passo indietro per il bene della Lega». È stato l'unico ad avere il coraggio di dirlo apertamente.

Il consiglio federale ha concesso tuttavia l'onore delle armi, nominando l'ormai ex leader presidente della Lega, al posto di Angelo Alessandri. E in via Bellerio la cronaca è già diventata storia: «Bossi non muore per colpa di Maroni. Dove i maroniani non sono riusciti, c'è riuscita la famiglia», ripetono i militanti. Il che per il senatùr rappresenta un contrappasso: tra i suoi fedeli, famiglia compresa, ci sono prevalentemente uomini (e donne, moglie inclusa) del Sud.

Ora tocca al triumvirato Maroni-Calderoli-Dal Lago, nato da una concessione alle tre anime del partito, visto che Dal Lago, ex presidente della Provincia di Vicenza e ora deputato, è molto vicina al senatùr. Il congresso, che dal prossimo autunno verrà probabilmente anticipato a giugno, deciderà poi il prossimo segretario. Già si parla di Bobo Maroni, e con lui di una nuova classe dirigente: Matteo Salvini, europarlamentare e consigliere comunale di Milano; Attilio Fontana, sindaco di Varese e presidente di Anci Lombardia, indicato come possibile candidato alle prossime regionali in Lombardia; Massimo Garavaglia, senatore ed esperto di enti locali.

Ora a fare paura sono le prossime elezioni amministrative, e la nuova legge elettorale che potrebbe prevedere uno sbarramento al 5 per cento. Ad aggiungersi all'inchiesta, che di sicuro non stimola la popolarità, ci sarebbe anche la perdita del lìder maximo. Per quanto Maroni rappresenti il rinnovamento, gran parte della base, soprattutto quella più tradizionale e anziana, potrebbe continuare ad associare la Lega a Bossi. E senza Bossi decidere di non votare più la Lega.

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