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Questo articolo è stato pubblicato il 11 aprile 2012 alle ore 08:09.
L'ultima modifica è del 11 aprile 2012 alle ore 08:16.

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Lo scandalo sull'uso personale dei fondi pubblici della Lega, che fa seguito a un simile scandalo riguardante l'ex tesoriere della Margherita, dimostra che la mala gestio e la corruzione non hanno barriere ideologiche: sono presenti in tutti i partiti. Senza togliere nulla alle colpe individuali, non si può ignorare la natura sistemica del problema.
Senza una riforma del sistema, gli errori si ripeteranno.

Purtroppo il dibattito politico sul come riformarlo oscilla tra la demagogia e il gattopardismo. È difficile pensare che dei politici, figli di questo sistema, abbiano le capacità di cambiarlo.
In questo senso, il governo tecnico fornisce un'opportunità unica. Non essendo composto da persone nate e cresciute in questo sistema, ha una vera chance di riformarlo. Per farlo, però, deve essere veramente tecnico, ovvero deve cominciare da uno studio sui pregi e difetti dei sistemi di finanziamento che esistono nelle varie parti del mondo. Ci permettiamo di offrire al governo una prima traccia di quest'analisi. Per cercare di essere il più asettici possibile, ci riferiremo ai dati americani, non perché gli Stati Uniti rappresentino un modello, ma perché sono il sistema più studiato.
Il punto di partenza, anche se impopolare, è che la politica costa. Nel 2008 la campagna presidenziale di Obama costò 760 milioni di dollari. Sembra un'enormità, ma non è molto se lo confrontiamo con le spese di pubblicità che le imprese sostengono per i prodotti più semplici.

Nel 1999 la campagna pubblicitaria per il nuovo rasoio della Gillette costò 300 milioni di dollari. Un presidente sarà più importante di un rasoio!
Il problema non è tanto di costo, ma di rapporto costi benefici. Se questi soldi aiutano i cittadini a selezionare dei rappresentanti migliori, sono soldi ben spesi (il costo di un cattivo governo è di molte volte superiore). Se invece favoriscono la sopravvivenza di un sottobosco di politici mediocri, anche pochi euro sono mal spesi. Quindi, entro limiti ragionevoli, non conta tanto la quantità di denaro spesa in campagne elettorali, quanto l'effetto che questo finanziamento ha sull'efficienza e la rappresentatività del nostro sistema politico.
Il secondo punto è che il finanziamento della politica non può venire lasciato interamente al mercato. Questa affermazione può sembrare strana venendo da chi crede nel mercato. Ma la regola numero uno per l'efficienza del libero mercato è che le scelte di un individuo non influenzino quelle altrui se non attraverso i prezzi. Se Bill Gates preferisce le cravatte rosse a quelle blu, il prezzo delle cravatte rosse probabilmente aumenterà, ma la nostra possibilità di comprare cravatte blu non cambia.

Questa condizione è violata nel mercato politico. La maggioranza impone delle scelte sulla minoranza. Quindi se Bill Gates decide di finanziare massicciamente un candidato, aumentandone la probabilità di vittoria, questo influisce sulla nostra libertà di scelta.
Il secondo motivo per cui il mercato non produce risultati ottimali è che in politica l'incentivo è di battere il rivale, non di eleggere il candidato migliore. Questo porta ad una escalation delle spese elettorali, così come nel calcio c'è stata una escalation degli stipendi dei giocatori.
Questa escalation è tanto più costosa quanto più influenza gli incentivi degli eletti. Oggigiorno il tipico politico americano partecipa a più di 500 fund raising events all'anno. È difficile immaginare che tutti questi eventi non influenzino i suoi voti in parlamento.

Il laissez faire quindi non funziona in politica. C'è la necessità di regole e c'è la necessità di un contributo pubblico. Il rischio, però, è che queste regole e questo contributo siano disegnati a protezione dei partiti esistenti, invece che a favore dell'efficienza ed equità del sistema elettorale nel suo complesso. La competizione elettorale rimane una forza importante. E vera competizione non esiste se non esista la possibilità per nuove formazioni di entrare nell'agone politico.
Per questo ci sentiamo di sottoscrivere la proposta avanzata dal famoso giurista americano Larry Lessig nel suo ultimo libro. Si tratta di un sistema di matching funds. Ogni individuo può donare fino a 100 dollari al suo candidato preferito. Lo Stato a sua volta raddoppierà la cifra raccolta.

Altre forme di finanziamento sono proibite. In questo modo si limita l'ammontare complessivo delle spese elettorali, senza limitare la competizione, anzi rendendola più intensa. Si limita l'influenza dei grossi gruppi sui candidati, ma si limita anche il potere dei partiti sui candidati. Proprio per questo è una proposta che difficilmente sarà sottoscritta dalla segreteria dei maggiori partiti. Ciononostante è una riforma che può trovare consenso in parlamento. Per attuarla negli Stati Uniti Lessig propone una convenzione costituzionale. A noi potrebbe bastare un governo tecnico.

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