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Questo articolo è stato pubblicato il 16 aprile 2012 alle ore 15:18.

«Piermario adorava giocare sotto la pioggia. Mi diceva che la palla ha bisogno di un trattamento diverso. Ieri è stato così. Sono sicura che fosse felice, il calcio e quel pallola ne davano un senso alla sua vita. E oggi questo sole e questo vento caldo accarezzano il mio viso e quello di tutti i suoi amici e familiari». Anna Vavassori, la compagna dello sfortunatissimo Piermario Morosini, il giocatore del Livorno scomparso sabato scorso durante la gara con il Pescara, consegna alla stampa un pensiero che riporta per qualche istante in vita il suo amore. Purtroppo non c'è stato nulla da fare. Morosini, 25 anni e una vita difficile alle spalle, non ce l'ha fatta a superare il malore che l'ha sorpreso in una delle tante partite che ha giocato da quando era ragazzino. Il calcio era la sua grande passione. Giocava per piacere, ma anche per raccogliere il denaro necessario per sostenere a dovere la sorella disabile. Aveva già perso madre, padre e un altro fratello. Il destino non ha avuto pietà. In casi come questi è così difficile dare un senso alle ragioni del quotidiano.
Forse è stato un aneurisma. Perché pare che il massaggio cardiaco effettuato dai sanitari intervenuti immediatamente in campo non abbia dato alcun tipo di risultato. Oggi verrà effettuata l'autopsia che potrebbe chiarire le cause del malore. In ogni caso, sono già in molti tra gli specialisti in materia a sostenere la tesi che il giocatore non poteva essere salvato. Nemmeno se si fosse agito in modo diverso. Nemmeno se allo stadio di Pescara fosse stato disponibile un defibrillatore, di cui da tempo si parla e che però non è ancora diffuso come dovrebbe. E nemmeno se l'auto di servizio dei vigili non avesse impedito, o meglio, ritardato il passaggio dell'autoambulanza fuori dall'impianto.
A questo proposito, il pm che ha preso in carico l'indagine ha deciso di disporre un'inchiesta per accertare le responsabilità di quel parcheggio selvaggio. Il comandante della sezione dei vigili della città abruzzese fa sapere che il collega è disperato e che sente forte il peso di quanto successo. Duro il sindaco della città toscana, che ha dichiarato che «chi ha sbagliato, pagherà, con la sospensione o il licenziamento». Questione di secondi, eppure importantissimi in situazioni del genere.
«Sono orgoglioso di averlo conosciuto, ai suoi cari dico che ci saremo sempre». Simone Barone, ex Nazionale campione del mondo e oggi uomo del Livorno, parla a nome dei compagni per esprimere il dolore della squadra alle prese con un fatto tragico, inatteso e definitivo. Morosini, Piermario, non c'è più. Difficile da spiegare, difficile da comprendere fino in fondo. Ieri all'ingresso dello stadio Picchi erano in tantissimi a rendere omaggio alla memoria del giocatore sfortunato che aveva il dna del campione e che in campo dimostrava una grinta e una determinazione davvero fuori dal comune.
Tifosi amaranto, ma anche semplici appassionati del pallone, amici, conoscenti, gente comune, compagni di squadra e giovani promesse del club. Livorno ha fatto quadrato intorno alla famiglia del "Moro". Una sciarpa, una frase consegnata ad un biglietto, fiori e lacrime. Il Picchi si è trasformato in un luogo di preghiera all'aperto. La notizia della tragedia ha fatto il giro della Penisola e ha raggiunto le prime pagine dei giornali di tutta Europa.
Giornali che stamane hanno dato notizia di un'altra scomparsa illustre nel mondo del pallone. Si chiamava Carlo Petrini, aveva 64 anni ed era un ex giocatore della Roma. Di lui le cronache parlarono a lungo nei primi anni del Duemila per la denuncia che l'ex attaccante fece per far conoscere la pratica diffusa del doping nel calcio italiano degli anni Settanta.
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