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Questo articolo è stato pubblicato il 19 aprile 2012 alle ore 06:39.

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BUENOS AIRES. Niente cravatta, due basettoni da cantante rock e 40 anni compiuti da poco. Axel Kicillof, viceministro argentino dell'Economia, enfant prodige della Casa Rosada, ridacchia spavaldo: «Repsol chiede 10 miliardi di dollari per Ypf? E come viene fuori la richiesta? Di certo non pagheremo questa cifra. L'unica certezza è che Ypf ha debiti per 9 miliardi di dollari, da cui sono esclusi i danni ambientali provocati negli ultimi anni». Ancora scintille, quindi, tra Argentina e Spagna.
E a rinfocolare la tensione anche un retroscena: il tentativo di Repsol, effettuato poche settimane fa, di vendere Ypf ai cinesi di Sinopec, senza avvisare il Governo di Buenos Aires.

Intanto a Buenos Aires un'altra giornata di repliche. In merito all'indennizzo, quello "giusto" «non dovrebbe superare i quattro miliardi di dollari». Ma questo lo dicono analisti indipendenti argentini e ora è prematuro prevedere l'entità che sarà stanziata dal Governo; e comunque la somma dovrà essere legata al valore contabile delle azioni, ovvero calcolata dal rapporto tra il patrimonio netto della società e il numero di azioni emesse.
A pochi giorni dall'annuncio di esproprio di Ypf, effettuato dalla "presidenta" Cristina Fernandez de Kirchner, la tensione rimane alta e il fronte internazionale è sempre più caldo. Il neo-commissario di Ypf, nonché ministro per la Pianificazione, Julio De Vido, domani volerà a Rio de Janeiro per rassicurare i vertici di Petrobras, compagnia di Stato brasiliana con interessi energetici in Argentina.

Sempre De Vido, con malcelato orgoglio ha fatto sapere che «molte multinazionali, invitate a farsi avanti dal progetto di legge inviato alla Camera, ci hanno dimostrato, nelle ultime ore, l'interesse a dialogare con noi e valorizzare le risorse, di cui conoscono l'esistenza».
Gli Stati Uniti si dichiarano «molto preoccupati» ed esortano il Paese sudamericano a «normalizzare» le relazioni con gli investitori. Mentre la Commissione Ue ha escluso l'Argentina dal programma della missione in programma la prossima settimana in Sud America. La decisione è stata annunciata dal vicepresidente della Commissione europea, responsabile per l'Industria, Antonio Tajani.

Infine l'agenzia di rating Moody's ritiene «che l'esproprio senza un'adeguata compensazione da parte del Governo argentino comporti una significativa riduzione del merito di credito».
Molto scalpore, a proposito di trattative con le compagnie straniere, ha suscitato la notizia pubblicata dal giornale economico cinese Caixin secondo cui il management di Repsol, negli ultimi mesi stava progettando la vendita di Ypf a Sinopec, la compagnia petrolifera cinese.
Sinopec aveva avviato una trattativa per l'acquisto del 57% in mano a Repsol. E in base a un'intesa non vincolante raggiunta con gli spagnoli, i cinesi sarebbero stati disponibili a pagare 15 miliardi di dollari.

L'affare però è sfumato dopo l'esproprio deciso lunedì dal Governo argentino. Caixin rivela anche che Sinopec sarebbe stata pronta ad acquistare Ypf nonostante la minaccia di Buenos Aires di nazionalizzarla e, quel che è peggio agli occhi degli argentini, il Governo di Madrid non avrebbe informato Buenos Aires della trattativa con Pechino.
Sinopec ha preferito non commentare le rivelazioni di Caixin. Il futuro delle attività di Ypf rimane comunque ancora incerto. Alcuni geologi dell'Eni che chiedono l'anonimato spiegano al Sole 24 Ore che, oltre alla disponibilità ad investire, la ricerca petrolifera non può fare a meno di tecnologia di alto profilo.

Questioni che, per ora, il Governo argentino sembra ignorare. De Vido si è limitato a spiegano che «le nuove tecnologie di ricerca del petrolio e del gas, potrebbero far sì che il Paese entri a far parte dell'Opec». Le sue riserve non sfruttate di shale gas, secondo uno studio del Dipartimento dell'Energia americano, sarebbero le terze al mondo dopo Usa e Cina. Sarebbe appunto questo il tesoro futuro dell'Argentina che, però, non ha i capitali per le ricerche di shale gas, tuttora carissime.

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