Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 22 aprile 2012 alle ore 16:21.

My24

Dalle 20 di domenica sera la Francia ha voltato pagina. Il candidato socialista Hollande è in testa al primo turno e questo gli offre concrete, ancorché non proprio definitive, probabilità di entrare all'Eliseo fra quindici giorni. In Italia la soddisfazione per questo risultato va molto al di là dei timori per le conseguenze sull'Europa di un cambio così radicale a Parigi.

Diciamo pure che i filo-Hollande già da settimane erano nettamente prevalenti in tutti gli schieramenti, compreso il centrodestra. Un sentimento che nasceva da disillusione verso le politiche filo-tedesche di Sarkozy, ma non solo. Hollande ha venduto la speranza che l'Europa di domani sarà meno austera e angusta di quella modellata sull'asse Berlino-Parigi negli anni in cui Sarkozy aveva creduto di rinnovare la "grandeur" francese attraverso il patto privilegiato a due con la Merkel. Ecco allora che il mondo politico italiano, anche quello più lontano dagli schemi politici e dalle illusioni della sinistra, ha deciso di investire su di lui.

Del resto, era da molti anni che un'elezione presidenziale in Francia non veniva seguita con tanta attenzione sul versante italiano delle Alpi. Come se tutti avessero compreso, sia pure in ritardo, che quello che avviene a Parigi, a Berlino o a Madrid ha conseguenze immediate negli altri paesi dell'Unione. E la crisi economica ci rende tutti molto sensibili a quello che succede nel giardino del vicino. Detto questo, bisogna riconoscere che la parabola "italiana" di Sarkozy ha dell'inverosimile. Quando fu eletto, nel 2007, il successore di Chirac era visto con interesse e curiosità. Questo post-gollista moderno e dinamico aveva "charme". Sembrava in grado di rimescolare in patria gli schieramenti politici un po' troppo ingessati e soprattutto di immettere sangue fresco nel processo di costruzione dell'Europa, così burocratico e incapace di parlare ai cuori. In altre parole, Sarkozy aveva le caratteristiche della novità, non solo per la Francia ma per i popoli contigui. La sua vittoria annunciava e quasi anticipava il ritorno al successo di Berlusconi, che infatti di lì a un anno, nella primavera del 2008, si sarebbe di nuovo installato a Palazzo Chigi al posto di Romano Prodi. All'epoca si rincorrevano i paragoni fra i due personaggi e per molti Nicolas era il "Berlusconi francese". In più aveva chiamato personalità indipendenti nel suo primo governo, e anche qualche ex socialista. Un rimescolamento di carte piuttosto interessante, a cui la "gauche" sapeva opporre solo la malinconica contemplazione della propria crisi. Cinque anni dopo lo scenario è del tutto cambiato.

Da noi Sarkozy, incredibile ma vero, ha perso tutti i simpatizzanti della prima ora. La sinistra ovviamente lo ha combattuto a lungo, magari a prezzo di qualche contraddizione visto che sulla carta la politica di Mario Monti si ispira più all'asse Merkel-Sarkozy che all'Europa vagheggiata da Hollande (e ancora molto nebulosa).
Ma Bersani ritiene di avere tutto da guadagnare dalla vittoria del candidato socialista, con il quale si è fatto vedere a Parigi durante la campagna elettorale. La spinta del risultato parigino sulla sinistra europea può essere decisiva. Magari non sarà sufficiente a far vincere la socialdemocrazia tedesca nel 2013, ma il segretario del Pd ritiene – con qualche ragione – che i vantaggi per il centrosinistra di casa nostra saranno considerevoli. E tuttavia difficilmente l'ingresso di Hollande all'Eliseo cambierà il corso della nostra legislatura. Le elezioni sono previste nella primavera del 2013 e il dato francese non può essere un valido motivo per anticipare quella data.

Quel che conta, anche i berlusconiani hanno detto addio, e non senza rancore, al presidente uscente. Non hanno dimenticato i sorrisetti ironici fra lui e la Merkel nelle settimane immediatamente precedenti la caduta del presidente del Consiglio. E in effetti quello che un tempo era un grande amico di Berlusconi si era trasformato nel tempo in un suo tenace avversario, nel solco dell'antipatia manifestata dalla Cancelliera tedesca verso il premier di Roma. Sarkozy aveva puntato sull'asse di ferro fra Berlino e Parigi, nella speranza vana che l'alleanza stretta riuscisse a tenerlo al riparo dalla crisi: le intemperanze del capo
del governo italiano gli sono sembrate perciò inopportune e anzi intollerabilii. Quindi rottura totale, peraltro bilaterale.

E i moderati centristi? Anche loro hanno perso fiducia nell'interlocutore francese, soprattutto da quando l'ombra della sconfitta ha cominciato ad allungarsi su di lui. Qualcuno è diventato neutrale, altri si auguravano nelle ultime ore una buona affermazione di Bayrou, che non è destinato all'Eliseo ma è innocuo (alla fine ha raccolto circa il 10 per cento). Quello che appare evidente, è che tutti in modo più o meno esplicito guardano verso il candidato socialista. E tanti, anche a destra, si sono augurati una sua vittoria. La maggior parte in pubblico ha taciuto, ma qualcuno non ha esitato a manifestare la sua preferenza: è il caso di Giulio Tremonti, forse memore delle sue origini socialiste.

È il risultato della recessione e della mano tedesca sull'Europa. Il "mitterrandismo pallido" di Hollande sembra anticipare una revisione dei trattati, la messa in soffitta del patto fiscale, la prospettiva di un'Unione diversa, meno teutonica e più mediterranea. E sperare non costa nulla. O meglio, in questo caso rischia di costare molto: la speculazione finanziaria è pronta ad addentare l'osso e molti ritengono che un socialista all'Eliseo produrrà scompiglio in un'Europa già disastrata. Per lo meno fin quando il neo- presidente non avrà fatto i conti con la realtà. Le sue promesse elettorali sembrano a molti un miscuglio di demagogia e di ingenuità. Ma la sola ipotesi che Hollande sia in grado di parlare con la Merkel dando voce alle frustrazioni di tante capitali europee sembra un viatico sufficiente. Peraltro anche Mitterrand, quando giunse per la prima volta all'Eliseo, nel '74, provocò una gigantesca fuga di capitali. Ma all'epoca non esisteva l'euro e il contagio non era possibile. Oggi è tutto interconnesso e l'assenza di realismo – come scrive sul "Corriere della Sera" Alexandre Jardin – è un lusso che nessuno può più permettersi. Nemmeno una "gauche" che si prepara a tornare alla guida della Francia dopo 24 anni.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi