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Questo articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2012 alle ore 08:51.

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O, ancora, la recente introduzione dell'articolo 391 bis c.p. con il quale sono previste pene severissime per chi consente lo scambio di notizie tra i boss in carcere e l'esterno.Insomma la legislazione italiana è straordinariamente moderna, anche se vive una condizione simile a quella di Achille e la tartaruga nel paradosso zenoniano: un inseguimento continuo nella ricerca di strumenti in grado di colpire le mafie che cambiano.

Ma se così stanno le cose perché, per citare il titolo di un libro che porta la firma di due magistrati molto bravi come Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino intervistati da Gaetano Savatteri, è stato possibile il contagio nelle regioni che sembravano immuni dalle mafie?
Perché nel nostro Paese sembra scorrere carsicamente una domanda, dal sud al nord, di quell'attività che fa parte del core business delle mafie: l'intermediazione parassitaria. Una intermediazione parassitaria che fa saltare le regole del mercato, la competizione meritocratica, e che è una subcultura di cui il nostro paese ancora si nutre. Lo storico Salvatore Lupo la definisce "il bisogno di mafia".

Recentemente dopo la sentenza della Cassazione che ha riformato la sentenza d'Appello a carico del senatore Marcello Dell'Utri si è fatto aspro il dibattito sul reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Lei sul punto ha una posizione particolare.
Io sostengo che si tratta di un reato che va tipizzato legislativamente, sollevando la magistratura dall'onere di selezionare le condotte punibili esponendosi così a continue polemiche. E sostengo pure che non può essere un atto di fede: c'è il rischio che ci si abbracci mortalmente al concorso esterno trascurando altri strumenti utili a intervenire con efficacia e dare buoni risultati in termini di bonifica o prosciugamento dell'area della contiguità.

Per esempio?
Nel caso di attività economico-imprenditoriali, c'è uno strumento molto importante come la sospensione temporanea (che oggi ritroviamo all'articolo 34 del Codice antimafia con il titolo di amministrazione giudiziaria): consente di passare ai raggi X le aziende in cui sono state riscontrate forme di commistione con la criminalità organizzata, senza necessariamente sequestrare o confiscare. Il successivo controllo giudiziario ne consente il riallineamento sui binari della legalità e quindi della separatezza con il mondo mafioso e la ricollocazione nel libero mercato.

A proposito di "voglia di mafia" e di infiltrazioni mafiose in azienda, non va sottovalutata la novità che riguarda il decreto legislativo 231/2001.
Già. Il secondo pacchetto sicurezza del 2009 ha inserito tra i reati presupposto della responsabilità da reato degli enti anche i delitti di mafia. Ciò significa che si dà l'opportunità alle imprese di dotarsi di modelli di organizzazione e gestione che realizzino in house la prevenzione contro la criminalità. Mi piacerebbe riscontrare un adeguato attivismo su questo fronte del mondo delle imprese: aspettiamo con fiducia!

Abbiamo anche le norme stringenti sul riciclaggio ma non siamo ancora riusciti ad ottenere dal Parlamento una norma sull'autoriciclaggio.
Ci arriveremo. Ripeto: il bicchiere è mezzo pieno.

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