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Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2012 alle ore 10:57.

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Quando la terra trema, le case crollano uccidendo animali e esseri umani, non è possibile respingere in noi la visione della realtà grandiosa, caotica, incendiata, nella quale viviamo: la visione dell'Universo che evolve. Ogni terremoto ci risveglia a questa realtà. Noi camminiamo ogni giorno per le strade della nostra vita sicuri di poggiare i piedi su un suolo immutabile, sicuro, duro.

Invece sotto di noi si preparano forze irresistibili pronte a scompigliare tutte le nostre certezze, tutta la nostra vita. I sommovimenti micidiali dei terremoti ci mostrano anche quanto poco siamo preparati ad affrontare i colpi delle probabilità e del caso. "Essere pronti è tutto" dice Amleto nell'inarrivabile capolavoro di Shakespeare. Noi, non soltanto individualmente, ma anche nelle persone che governano le nostre città, i nostri Paesi raramente siamo pronti di fronte ai colpi delle probabilità e dei casi.

Spesso ci avviluppiamo in intrighi, speculazioni, rapporti sociali e umani che ci tengono prigionieri, anche di fronte a gravissimi, e prevedibilissimi pericoli. L'uomo oggi ha sviluppato delle conoscenze che lo potrebbero rendere capace di prevenire o parare quei colpi. Invece può persino verificarsi il fatto che qualcuno li consideri altamente positivi, anzi auspicabili, e che rida in occasione di qualche disgrazia collettiva, fonte di possibili guadagni o di altre convenienze.

Anche il grande scrittore tedesco della prima metà dell'Ottocento, Heinrich von Kleist, nel suo racconto "Il terremoto del Cile" ha descritto l'improvviso sconvolgimento di vite, causato da questo evento, lo scatenarsi di superstizioni, violenze, forze bestiali, e il continuo mutare dei destini. Né la rettitudine di qualcuno, né la bellezza tramandata dall'arte, né il tentativo di dare alla società umana un ordine e un'armonia fino ad ora non conquistati sono sempre in grado di impedire quelle sciagure. Anche se oggi sarebbe possibile. Eppure anche ora migliaia di persone devono per anni guardare le rovine delle loro case senza che nessuno, nessuno le salvi da una vita precaria e finta, di finto benessere, di finta definitiva sistemazione. In Emilia Romagna si spera che non si verifichi questo. Sarebbe una condanna per il nostro Paese, tanto amato da gente di tutto il Pianeta.

Io abito in una Regione, il Friuli -Venezia Giulia che nel 1976, trentasei anni fa, fu colpita da uno dei terremoti più devastanti di quel secolo. I sommovimenti durarono più di un mese. Mi ricordo che una sera, circa dieci giorni dopo quel terribile 6 maggio, mentre sedevo in cucina e pranzavo, improvvisamente mi arrivò nella schiena un colpo di pugno fortissimo. E dopo, altri sette otto pugni. Era il muro che mi dava quei pugni. I bicchieri nella credenza presero a tintinnare, eseguendo una sorta di musica dissonante, il lampadario comprato in Slovenia, fatto di graziose spighe di grano intrecciate prese a descrivere irregolari cerchi nell'aria, con tutta la famiglia corremmo verso i muri maestri per essere al sicuro.

Rovesciammo piatti, bicchieri, la radio accesa si frantumò per terra. Durò due minuti quel caos. Eravamo a Trieste, non in Friuli. E anche lì si avvertì quel segno della devastazione. Fu allora che compresi che cosa quella sorta di sveglia stava comunicando a me, e a tutta la società italiana di quel tempo. E qualche tempo dopo, vedendo come quella magnifica Regione era riuscita a dimostrare la sua forza e tenacia, il suo senso dell'armonia e della solidarietà, capii anche la frase di Amleto "Essere pronti è tutto". Ma aggiunsi dentro di me : " Sopra quel tutto è anche necessario credere nell'uomo e nella società umana". Ognuno può inoltre aggiungere qui il suo personale, benevolo credo.

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