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Questo articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2012 alle ore 16:40.

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Tre studi legali americani hanno depositato delle class action contro Facebook per conto di alcuni investitori, che accusano la compagnia e i sottoscrittori del suo collocamento in borsa di aver nascosto loro informazioni rilevanti. L'Ipo da 16 miliardi di dollari del popolare social network si è infatti rivelata un flop, con una prima seduta chiusa faticosamente in pareggio e perdite pari all'11% solo nel secondo giorno di contrattazioni.

In particolare, gli azionisti del social network hanno avviato un'azione legale contro Facebook stessa, l'amministratore delegato Mark Zuckerberg e Morgan Stanley insieme alle altre banche che hanno sottoscritto l'offerta. L'accusa, riporta Business Insider, è di avere rivelato solo ad alcuni investitori privilegiati una riduzione consistente delle previsioni di crescita dei ricavi del social network, contribuendo al crollo del titolo nei primi giorni di contrattazioni.

A seguire la causa, avviata presso una corte distrettuale di Manhattan, è lo studio legale Robbins Geller, lo stesso che era riuscito a ottenere risarcimenti per 7 miliardi di dollari da Enron. Sotto tiro anche Nasdaq OMX Group, la società che controlla l'indice su cui è quotato il social network, accusata da un azionista per i ritardi nel collocamento dovuti a problemi tecnici che secondo l'accusa hanno portato a gravi perdite per gli investitori. Dopo la giornata di debutto a Wall Street deludente, conclusa attorno al prezzo di partenza, e il crollo del titolo nei due giorni seguenti, Facebook ha iniziato oggi in positivo e rimbalza di quasi il 3 per cento.

Intanto arriva la risposta di Facebook alla causa collettiva intentata da alcuni investitori contro la società e l'amministratore delegato Mark Zuckerberg, accusati di non avere comunicato prima dell'Ipo di venerdì scorso che gli analisti avevano abbassato le stime sul fatturato della società. «Riteniamo che la causa non abbia motivo e ci difenderemo in modo vigoroso», si legge in una dichiarazione della società riportata dal Washington Post.

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