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Questo articolo è stato pubblicato il 01 giugno 2012 alle ore 12:25.

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Mauro MantovaniMauro Mantovani

MIRANDOLA - La famiglia di Mauro Mantovani, il titolare della Aries di Mirandola morto sotto le macerie del suo capannone martedì mattina, sta ancora aspettando di sapere quando potrà dargli l'ultimo saluto. «I funerali di Mauro non si terranno prima di lunedì – spiega Alberto Nicolini, uno degli amici più stretti -, in questo momento stiamo ancora aspettando di sapere se la magistratura disporrà o meno l'autopsia». Mauro, oggi, è all'istituto di medicina legale dell'ospedale di Modena.

Al Sole 24 Ore, che lo aveva intervistato pochi giorni prima della sua scomparsa, aveva raccontato l'affanno e la soddisfazione per avere trovato i magazzini dove l'azienda avrebbe potuto ricominciare, subito dopo il primo sisma che si era verificato nella notte fra sabato e domenica. «Non parlava che di progetti – ricorda Nicolini, che era anche il suo consulente del lavoro – pensi che, poco tempo fa, avevamo programmato insieme piani finanziari per mezzo milione di euro, il 10% del fatturato annuo. La sua ossessione, nel segmento dei dispositivi medici monouso, era l'innovazione di prodotto. Mi aveva detto, con un sorriso: "Alberto, ma così mi indebito fino a 80 anni"».

Mantovani, di anni, ne aveva 63. E la sua vita era una specie di calco in miniatura della vicenda industriale di un'intera comunità. Un posto particolare, Mirandola, perché qui una serie di piccole aziende fondate negli anni Cinquanta e Sessanta erano cresciute così tanto da diventare appetibili per grandi gruppi italiani e stranieri, che infatti le avevano acquistate permettendo al polo produttivo un ulteriore salto dimensionale. Figlio di un assicuratore, Mantovani aveva preso il diploma in ragioneria, si era iscritto alla facoltà di farmacia per poi accettare l'offerta di una grande azienda di Mirandola. E, a lungo, aveva lavorato come commerciale in gruppi stranieri, per esempio la Baxter.

Dopo un passaggio alla Dickinson, sulla falsariga di quanto successo negli ultimi trent'anni a molti suoi colleghi qui nella Bassa, aveva deciso di provarci: mettersi in proprio. E, così, insieme ad altri soci, aveva creato la Biofil, un'azienda che poi aveva ceduto a un grande investitore. Ma la voglia di fare impresa (in proprio, non sotto padrone) aveva, alla fine, prevalso su tutto. E, così, nel 1995 si era buttato di nuovo fondando la Aries. Questa volta, al 100% sua. «Altre passioni, oltre al lavoro? Tifava moderatamente per l'Inter e aveva acquistato un buen retiro in Sardegna. Una cosa, però, in linea con il suo stile: riservato e frugale. Una piccola abitazione, sei chilometri nell'entroterra di Olbia». In azienda lavoravano, o meglio lavorano, la moglie Maria Luisa, impiegata, e il figlio Maurizio, trentenne, che segue in particolare il mercato dei reparti oncologici in Emilia Romagna e nelle Marche. Il dolore è indicibile.

Ma l'una e l'altro stanno provando a reagire. In particolare, Maria Luisa ha passato gli ultimi giorni girando negli studi degli avvocati, dei commercialisti e dei consulenti del lavoro. La ditta deve riaprire prima possibile. Non è nemmeno in discussione che si chiuda. Ci sono 26 dipendenti. Ci sono 26 famiglie. «Com'era il Mauro imprenditore? – si chiede l'amico Nicolini - oltre alla passione per il prodotto, metteva nel suo modo di fare le cose una sua caratteristica intima. Era un uomo buono. Mi ricordo l'imbarazzo che provava quando doveva dire qualcosa di sgradevole a un dipendente. Gli altri, però, anche in azienda gli volevano bene».

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