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Questo articolo è stato pubblicato il 01 giugno 2012 alle ore 07:16.

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Può esistere una mappa che ci dica davvero che cosa ci aspetta nella Pianura padana, oggi e nel prossimo futuro? È già arrivato il momento di rimettere mano alle carte che solo pochi anni fa hanno cambiato il modo di considerare quella che tutti avevamo imparato a considerare una zona dove i terremoti non avrebbero mai dovuto colpire? Forse è presto per dirlo. Di certo un gran lavoro attende ancora geologi e sismologi per tentare di spiegare che cosa è successo e, se possibile, che cosa potrebbe succedere domani.

Ma prima di tutto, è bene forse tentare di capire quello che i geologi e i sismologi già sanno e che cosa significano le carte sulle quali oggi lavorano.

Per tutta l'Italia esiste una mappa della pericolosità sismica che è il risultato di un lungo e paziente lavoro di incrocio dei dati a disposizione dei ricercatori dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia che l'hanno elaborata. Questa mappa non solo ha alzato nettamente il livello di preoccupazione per l'area del bacino del Po, ma mostra chiaramente come la pianura sia una zona solo apparentemente omogenea.

In realtà ci sono almeno sei o sette fasce con livelli di rischio differenti. Si va dal bacino che divide Milano da Torino, al quale è assegnato un livello di rischio bassissimo di eventi sismici, fino alla zona di Bologna, dove invece la mappa indica che un terremoto delle dimensioni di quello che ha colpito l'Emilia in queste settimane diviene un evento meno improbabile, come in tutta la fascia che dal capoluogo risale verso Modena, Reggio e Parma. Altra zona più a rischio è quella della bassa Bresciana, dove infatti si ricordano terremoti in epoca medievale, fino a Verona, che nel 1117 fu teatro del sisma più grave dell'Italia settentrionale che ci sia noto da fonti storiche.

Ma che cosa significano le zone che si vedono sulla mappa? Innanzitutto va detto che non coincidono con le faglie che scorrono nel sottosuolo e che, muovendosi, alla fine sono all'origine del movimento anche in superficie. Le zone di pericolosità e i colori con cui sono state contraddistinte mostrano i livelli di accelerazione del suolo attesi, e quindi la forze dei terremoti che possono colpire i diversi luoghi. Anzi, per essere più precisi, l'accelerazione attesa è via via più alta man mano che il colore della mappa si fa più scuro. Però attenzione: la probabilità espressa da questa mappa è del 90%. Vuol dire che, con il 90% di probabilità, nei prossimi 50 anni in quella zona non dovrebbe verificarsi un sisma che scuota il solo con violenza superiore a quella indicata dal colore.

Quello che è successo con la scossa del 20 maggio, a quanto pare, è proprio che il terremoto che si è verificato ha superato queste aspettative. Insomma, aveva meno del 10% di probabilità di verificarsi: un evento raro, ma non per questo impossibile. «È avvenuto l'evento meno probabile», spiega Gianluca Valensise, ricercatore dell'Ingv che è stato tra i primi a occuparsi con più attenzione della Pianura padana e che alla elaborazione di questa mappa ha collaborato. «Ma, per intenderci, se non stabilissimo delle percentuali di probabilità e non fissassimo dei livelli di "rischio accettabile", allora l'Italia risulterebbe tutta a rischio sismico elevato e un'informazione del genere sarebbe inutile».

Quello che è stato fatto per arrivare a queste carte della pericolosità è incrociare vari tipi di dati, a partire da quelli sulle sorgenti sismogenetiche, cioè le strutture profonde che sono quelle che possono dar luogo ai terremoti, passando per gli eventi storici e fino alle modalità con cui l'energia sismica scatenata da un evento nato in profondità si propaga facendo ballare il terreno e tutto quello che ci sta sopra. Perché le faglie, altra cosa da imparare, sono tutt'altro che uguali: ce ne sono di ogni dimensione e profondità, ma solo quelle più profonde sono davvero all'origine dei sismi. «L'Italia ha una situazione estremamente complessa. Su grande scala si può guardare al fatto che il sistema appenninico e quello alpino si muovo in direzioni diverse, l'Appennino verso nordest e le Alpi verso Sud, strizzando la pianura padana. Ma poi questo movimento si esprime in un sistema molto più articolato. E che dobbiamo ancora capire fino in fondo», racconta Valensise.

Per questo anche la mappa delle faglie della pianura va guardata con attenzione. Dall'Appennino verso il Po scorrono una serie di fratture del terreno che rappresentano il proseguimento, sotto chilometri di sedimenti, del sistema che forma gli Appennini. Esiste una bella carta dell'Ingv che mostra con chiarezza dove questi sistemi di faglie si fermano, disegnando confini invisibili che, a sorpresa, attraversano più volte il Po, verso Nord e verso Sud, arrivano a sfiorare Milano, attraversano Bologna e così via. Una geografia sconosciuta per chi guarda la superficie.

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