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Questo articolo è stato pubblicato il 19 luglio 2012 alle ore 08:10.

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Un taglio drastico agli incentivi che non creano investimenti aggiuntivi per spostare le risorse a riduzione del cuneo fiscale. È questo il piano messo a punto da Francesco Giavazzi, il super consulente incaricato dal Consiglio dei ministri lo scorso 30 aprile. Il rapporto contenente «Analisi e raccomandazioni sul tema di contributi pubblici alle imprese», 45 pagine condite da grafici e tabelle, contiene anche uno schema di decreto legge in 6 articoli. Il tema è stato ieri al centro di un incontro tra Monti, Passera e lo stesso Giavazzi: si valuta di trasformare il piano, o almeno alcuni dei suoi principi, in norme nella terza fase della spending review che potrebbe arrivare subito dopo la pausa di agosto a meno di improvvisi peggioramenti dello scenario economico internazionale che impongano segnali forti da dare in tempi ancora più stretti.

L'obiettivo
Nel rapporto, circolato finora solo a Palazzo Chigi, il docente della Bocconi va subito al cuore del progetto: «Solo una riduzione della spesa per finanziare una corrispondente diminuzione della pressione fiscale favorisce la crescita». Incrociando diverse stime e dati in possesso della pubblica amministrazione, Giavazzi stima «in un valore non lontano da 10 miliardi all'anno» l'ammontare dei contributi eliminabili nel lungo periodo, considerando esclusivamente i contributi alle imprese in senso stretto ed eliminando dall'oggetto del rapporto sia gli incentivi finanziabili con fondi europei sia quelli diretti a compensare l'adempimento di obblighi di servizio pubblico (trasporto, sanità, istruzione).

Tra gli aiuti "aggredibili" figurano contributi in conto interessi, aiuti per emittenti locali, per l'agricoltura, crediti di imposta, Far, bonus occupazionale, fondo finanza d'impresa, incentivi assicurativi e all'aeronautica. Per Giavazzi la scure che si abbatterebbe sulle imprese sarebbe comunque da accompagnare a un intervento compensativo e produrrebbe sensibili benefici sul Pil. «Un taglio della spesa, se utilizzato per ridurre la pressione fiscale, può far crescere il reddito in modo più che proporzionale». L'abrogazione di contributi per circa 10 miliardi annui «produrrebbe, nell'arco di due anni circa, un aumento del livello del Pil di 1,5%».

I risparmi, come detto, dovrebbero andare in parte a incentivare le poche attività per le quali si può dimostrare un effetto aggiuntivo degli investimenti (ad esempio la ricerca e sviluppo) ma, soprattutto, dovrebbero portare alla riduzione della pressione fiscale mediante «una riduzione del "cuneo fiscale", la differenza tra il costo del lavoro per l'impresa e il salario netto per il lavoratore», da stabilire con decreto del ministro dell'Economia. In questo modo, aggiunge il consulente incaricato da Monti, i trasferimenti ad alcune imprese si trasformerebbero in un vantaggio per tutte le imprese, «creando un ampio consenso favorevole a questi interventi».

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