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Questo articolo è stato pubblicato il 12 agosto 2012 alle ore 14:06.

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Nel momento più delicato della crisi recessiva che deprime non solo le economie occidentali, più che mai giganteggia indisturbata la peggiore epidemia distruttiva, che da sempre è stata il virus del capitalismo finanziario: il conflitto di interessi.

Che tale virus fosse già allo stato epidemico prima dello scoppio della recente depressione era fuor di dubbio, ma la sua strisciante opacità veniva abbondantemente tollerata e assopita dai sistemi internazionali e nazionali, non tanto con operazioni di trasparenza, bensì con ricorsi mediatici pomposi e di scarso rilievo che alternavano formule incaute e vuote, come l'appello a principi di etica di gruppi, all'indipendenza degli amministratori, alle muraglie cinesi, a codici di comportamento e a similari patacche moralistiche. I risultati sono ben noti e da me rilevati nel "Conflitto epidemico" del 2003; sono oggi esplosi in modo deflagrante, tanto da costituire il prioritario nemico, se effettivamente, aldilà delle parole e degli slogan, si vuol salvare l'Italia, l'Europa e l'Occidente da una possibile vicina catastrofe.

Il conflitto di interessi è l'indubbio frutto del pensiero unico del neoliberismo che ispira operatori, organismi di vigilanza e governi e li induce ad accettare le peggiori disuguaglianze e a creare politiche e interventi paradossalmente contraddittori, come la politica di austerità dalla quale si vorrebbe far dipendere la crescita, mentre ha l'unico effetto di aumentare la depressione e di rendere impossibile la crescita e quindi le future possibilità di pagamento del debito. L'avere metabolizzato, quasi fosse una conseguenza normale, il conflitto di interesse come motore del capitalismo finanziario e della speculazione non può che ricordare l'icastica immagine del grande Goya: «Il sonno della ragione genera mostri».

E i mostri in conflitto sono evidenti. Dagli Stati Uniti all'Europa, all'Italia. Gli Stati Uniti sono ancora legati alla commistione politica - grande finanza - corruzione, ampiamente documentata dagli scritti di Stiglitz, Krugman e Lessig.
P er evitare di combattere il conflitto di interessi della grande finanza che fa politica e che da questa riceve benefici e salvataggi, persino la Corte Suprema nel 2010, con la già ricordata decisione Citizen United, ha dato via libera, senza limiti, agli investimenti elettorali delle grandi società americane. L'attuale incertezza sul risultato delle prossime elezioni presidenziali sembra giocarsi in gran parte, se non esclusivamente, sul denaro a disposizione dei candidati e sull'intontimento mediatico dei programmi politici, ben diversi l'un dall'altro, ma omologati nell'appiattimento dei media.

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