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Questo articolo è stato pubblicato il 19 agosto 2012 alle ore 14:07.
Questo fondamentale e irrinunciabile principio è stato ripreso dalle più recenti teorie della giustizia, da John Rawls a Ronald Dworkin, e paiono invece completamente sconosciute o dimenticate dai vari governi italiani.
I problemi indubbi dell'economia, le cui regole eteronome sono dettate dal l'esterno, non dovrebbero mai avere il sopravvento sui diritti umani fondamentali, tra i quali quelli, secondo la classificazione di Norberto Bobbio, di seconda generazione, dove primeggia il diritto all'istruzione, che segna il passaggio della priorità dei doveri dei sudditi alla priorità dei diritti dei cittadini: ciò che costituisce un ovvio ammonimento per chi governa.
Nella direzione corretta si muoveva invece questo giornale il 19 febbraio scorso, lanciando il "Manifesto per la Costituente della Cultura".
La situazione attuale di tagli alla Cultura costituisce per le generazioni future un handicap che sarà impossibile superare. E tutto ciò giustifica fin d'ora l'esodo degli studenti migliori verso le Università straniere e l'aumento del male peggiore del Paese, costituito dalla disoccupazione giovanile.
A ciò si accompagna l'effetto distruttivo delle basi storiche della nostra civiltà culturale, che coi tagli e gli scandali rendono il Paese non competitivo neppure sulla base delle sue radici storiche. Gli scandali culturali e la loro riduzione a fatti economici o di bilancio tormentano, in un degrado sonnolento, il nostro futuro. Mi bastano qui due esempi significativi per stimolare l'attenzione del lettore. Il primo riguarda la sorte della Biblioteca Girolamini di Napoli, quella per intenderci di Giambattista Vico, oggetto di furti e falsificazioni che hanno meritato un lungo e dettagliato articolo sull'International Herald Tribune del 9 agosto. Il secondo, ancor più preoccupante esempio, è lo scempio che sta perpetrandosi a Venezia, la più bella città del mondo, con le navi che devastano il Canal Grande e il Canale della Giudecca. E le presuntuose ristrutturazioni commerciali operate da altrettanto presuntuosi archistar, di edifici storici, o progetti di nuove opere, autorevolmente con vigorosa preoccupazione denunciate da Salvatore Settis. Viene spontaneo da chiedersi: di che si occupa allora il ministro Ornaghi?
Per tornare al nostro problema del l'istruzione, è pur vero che tra le tante previsioni vi è quella di un aumento di novanta milioni di euro per il Fondo di intervento integrativo per la concessione di prestiti d'onore e borse di studio. Ma è altrettanto vero che i prestiti d'onore agli studenti, decisivi per superare le inuguaglianze di cui ho sopra parlato, sono da tempo adottati negli Stati Uniti d'America, cioè dalle decisioni del presidente Kennedy. Il governo Obama, a sua volta, certo più dei nostri sensibile ai problemi dell'istruzione, ha comunque, pur pressato dal deficit pubblico, incentivato la richiesta di prestiti d'onore. Eppure, secondo una recente indagine della Federal Reserve di New York, l'ammontare che gli americani devono ancora restituire per i prestiti d'onore contratti per pagare le rette universitarie è pari a circa 36 miliardi di dollari, mentre alla fine del 2011 il complesso dei prestiti rilasciati agli studenti ha raggiunto l'incredibile cifra di 867 miliardi di dollari, tanto da aver indotto molti commentatori a classificare il mercato dei prestiti agli studenti simile alla bolla del disastro immobiliare, che mise in ginocchio il sistema bancario nel 2008.
Anche questo, scimmiottando il sistema americano, non si rivela dunque un modo per aiutare i giovani a costruire una società migliore. Non è attraverso l'indebitamento dei cittadini per soddisfare i loro diritti e salvare il bilancio dello Stato, creando un minor debito pubblico e un enorme indebitamento privato che crea incertezza e insicurezza sull'avvenire, che si può stimolare la crescita e l'uscita dalla depressione economica. Il sistema dell'istruzione e dei beni culturali si merita una priorità troppo trascurata per un Paese che ha una storia di grande civiltà.
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