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Questo articolo è stato pubblicato il 30 settembre 2012 alle ore 13:48.

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Il dubbio è più che ovvio per il Regno Unito, nel quale un'opinione pubblica sempre più nutrita dagli stereotipi antieuropei dei suoi tabloid è già contraria all'Europa com'è, figuriamoci se le si propone un'Europa simil federale, come tale più forte, e con più taxing power, di quella attuale.

Ma il dubbio è cresciuto di intensità negli stessi stati del continente, ivi compresi i più tradizionalmente europeisti, nei quali l'ostilità con la quale sono accolti i vincoli e gli obblighi di provenienza europea impaurisce i politici e gli addetti ai lavori e li induce ad andare avanti con cautela, evitando l'esplicita menzione degli sbocchi federali, di cui magari ravvisano la necessità.
Ci ritroviamo così nella situazione che a lungo aveva caratterizzato l'evoluzione istituzionale europea e che Jacques Delors aveva sintetizzato con una famosa espressione, «l'Europa procede con una maschera sul viso». Per anni infatti le elite avevano proceduto nascondendo anche a se stesse le implicazioni di ciò che andavano facendo, per ridurre le resistenze, comprese le resistenze reciproche. Ma ci dobbiamo chiedere se ha senso tentare di farlo ora, quando l'opinione pubblica è molto più attenta all'Europa (perché ne è molto più toccata) e quando è esploso ormai il tema della legittimazione democratica di ciò che in Europa si viene facendo e che non è più consentito fare di soppiatto.

Avevo già citato Charlemagne, l'editorialista dell'Economist che mesi addietro aveva stupito i suoi lettori, sostenendo che per salvare l'euro non restava che orientarsi per una federazione, sia pure "leggera". Si legga ora il suo editoriale dello scorso 22 settembre. Fa male Barroso - scrive Charlemagne - a sollevare il tema federale, che è controverso. Dica piuttosto le misure da adottare per dare sicurezza all'euro, dal terreno fiscale alla stabilità delle banche. Poi, che si chiami integrazione, centralizzazione, federazione, lasciamolo da parte. Insomma, non ha cambiato idea Charlemagne, salvo a ritenere inopportuno chiamare le cose con il loro nome, perché è pericoloso far capire dove si va a parare.

Né saprei come interpretare diversamente gli addetti ai lavori che nel Consiglio europeo e nello stesso Parlamento stanno elaborando le nuove "unioni" (bancaria, fiscale e politica) previste nel documento di Van Rompuy approvato a luglio. Le loro proposte non sono affatto minimali. Lo stesso Van Rompuy parla di un forte bilancio centrale della zona euro, abilitato ad emettere debito comune, mentre le prime bozze in circolazione dell'opinione del Parlamento europeo sul riassetto istituzionale parlano di inefficienza, non trasparenza e inadeguatezza dell'attuale assetto intergovernativo, della necessità di superare la deriva che spinge verso una ritornante dimensione nazionale e della prospettiva perciò che si dia vita a una nuova Convenzione per attribuire al livello europeo le competenze economiche sino ad ora negategli, ivi compresa la capacità fiscale.

Ditemi se è poco, eppure tutti - lo ha notato anche Jurgen Habermas nel suo discorso del 26 scorso, pubblicato da Die Zeit - reagiscono con fastidio a chi parla di modello federale, ritenendo che sia questo ciò che spaventa di più l'opinione pubblica. Ma allora, che cosa c'è in fondo a questa strada? O si crede davvero che continuando a far procedere l'Europa con la maschera sul viso si arriverà zitti zitti a renderla più o meno federale senza che nessuno se ne accorga. Oppure, appena qualcuno se ne accorgerà ed esprimerà il suo dissenso, ci si fermerà, perché ci si ritiene sin d'ora impotenti a fronteggiare le reazioni negative. E sarà provato a quel punto che ciò che è necessario è oltre il politicamente possibile.

C'è un modo per uscirne? Sì - dice Habermas - ed è con il coraggio di elite politiche, dalle quali dobbiamo pretendere che adottino modalità argomentative nuove e diverse, tali da essere «formative della mentalità politica» e da sottrarsi così alla sudditanza verso una precostituita e immodificabile volontà popolare, scaturita dalla «consueta rilevazione demoscopico-commerciale». Utopia? Così furono fatti gli Stati, solo così sarà fatta - se non sarà sfatta- l'Europa.

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