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Questo articolo è stato pubblicato il 30 settembre 2012 alle ore 13:54.
L'ultima modifica è del 30 settembre 2012 alle ore 16:56.

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È da tempo, come già avevo segnalato più volte, che il problema della corruzione è diventato ossessivo nelle priorità politiche delle democrazie occidentali. La discussione è stata apertissima negli Stati Uniti d'America, con una serie di multiformi e approfonditi interventi, tra i quali primeggiano quelli in corposi volumi, dai titoli che paiono togliere ogni speranza ai fondamentali principi della democrazia.

Mi riferisco in modo particolare a "Republic Lost", col sottotitolo "How Money corrupts Congress" del giurista di Harvard Lawrence Lessig e quello di Hedrick Smith "Who stole the American Dream?", nei quali la fondamentale causa dei vari tipi di corruzione è individuata nella conquista del sistema politico da parte della nuova oligarchia dei ricchissimi signori del capitalismo finanziario (l'1% della popolazione), che hanno così usurpato il potere del popolo americano di decidere del proprio destino politico e sociale. Naturalmente nella democrazia americana vi sono tentativi di opposizione, da quelli civili, ma disinseriti dalla vita politica come il movimento "Occupy Wall Street", con forti sostegni del mondo intellettuale, e le ambiziose derive populiste come il Tea Party.
Non è un caso che, come in Italia, il dirompente problema della corruzione emerga, anche nelle sue più inqualificabili e degradanti manifestazioni, in un periodo antecedente a uno dei momenti fondamentali del sistema democratico, che è quello delle elezioni.

Ebbene l'Italia, vergognosamente tra le nazioni più corrotte, secondo ogni classifica, non è ancora riuscita ad approvare una legge sia pure incompleta, per la già sottolineata mancanza di norme sul riciclaggio e sul falso in bilancio. Legge che semmai era da tempo urgente e che non dovrebbe essere ora approvata solo perché ce lo chiede l'Europa.
La verità è che in Italia, oltre alla corruzione che ha alla base lo scambio di denaro contro favori e benefici politici, aldilà dei risvolti penali che debbono essere rigorosamente puniti, è emersa un'altra forma di corruzione.
In questa nuova forma, che chiamerei «corruzione da dipendenza», si privilegia l'appartenenza al gruppo piuttosto che la competenza, anche se nell'"appartenenza", più che nella "competenza", si usano sbandierare falsi criteri col lemma ormai di moda della meritocrazia.

La causa principale dell'attuale corruzione della classe politica in Italia e della sua spaventosa decadenza ha una storia, non tanto dovuta alla mancanza di una legge anticorruzione, bensì all'attuale legge elettorale del 2005 (n.270). Quest'ultima ha rotto il sistema della rappresentanza politica, trasformando le elezioni dei parlamentari indicati non più dagli elettori, bensì dai vertici dei partiti. Ecco quindi l'emergere della corruzione per dipendenza e il passaggio ad una classe politica di incompetenti, ma "appartenenti". E questa è anche la ragione per la quale da più parti si pensa che la volontà degli elettori sia incarnata nelle decisioni di un capo più o meno carismatico, autentico rappresentante del popolo, ma che secondo l'opinione di Kelsen, è l'opposto dell'idea di democrazia, la quale esige l'"assenza di capi".

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