Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 24 ottobre 2012 alle ore 21:18.

My24

Diecimila produttori dal Cile al Senegal, dal Libano alla Malesia. Sono gli operatori internazionali coinvolti nei 400 Presìdi Slow food attivi in oltre 50 paesi. Numeri che parlano in maniera inequivocabile di un successo, visto che il progetto è nato nel 2000 e a dodici anni di distanza conta 400 riconoscimenti, 269 dei quali si trovano in Europa. La fetta maggiore è in Italia dove si contano oggi 224 Presìdi (erano 90 nel 2000) mentre il numero di produttori coinvolti di ogni tipologia produttiva (dalla pesca all'ortofrutta, dalla zootecnia ai prodotti da forno) dagli 800 degli esordi è arrivato a quota 1.980 di oggi per un giro d'affari complessivo stimato in 15 milioni di euro.

I Presìdi Slow Food rappresentano un nuovo modello di agricoltura col quale si punta a garantire tutela a produzioni agroalimentari di qualità che vantano un importante peso specifico in termini di conservazione della biodiversità. Il principale scopo infatti è quello di salvaguardare razze autoctone, varietà vegetali e sistemi di lavorazione artigianale a rischio estinzione. Obiettivi che si punta a raggiungere rafforzando l'organizzazione dei produttori, valorizzando i territori di origine, preservando tecniche e tradizioni, promuovendo pratiche colturali sostenibili e non ultimo il ricambio generazionale in azienda. Centrale nella promozione dei prodotti Slow Food è poi l'alleanza con la ristorazione. Già nel 2009 in Italia si contavano 325 ristoranti di qualità impegnati a dare spazio nei propri menù ai prodotti dei Presìdi.

A dodici anni dal lancio del progetto, nel corso del Salone del gusto di Torino sarà tracciato un primo bilancio dell'attività. Valutazioni delineate in uno studio ("I Presìdi Slow Food in Europa, un modello di sostenibilità") che sarà presentato domani e che è stato realizzato dai docenti della facoltà di Agraria, Cristiana Peano e Francesco Sottile (rispettivamente delle Università di Torino e di Palermo) analizzando un campione di 47 casi europei. Perché si sviluppi un Presidio Slow Food è necessario che un prodotto possa vantare una particolare qualità organolettica e un saldo legame con il territorio d'origine. Ma non solo. Occorre che i prodotti siano realizzati in quantità limitate da aziende di piccole dimensioni e soprattutto devono essere a «rischio estinzione». Per questo al centro dello studio che verrà presentato domani a Torino c'è la valutazione della sostenibilità socioculturale, agroambientale e – soprattutto – economica. Senza un'adeguata redditività infatti i produttori sarebbero costretti ad abbandonare tanto i territori quanto quelle produzioni.

E proprio in questa prospettiva sono molto importanti i riflessi della valorizzazione dell'attività dei Presìdi sui giovani. «Si tratta di quelle che noi chiamiamo le ricadute socioculturali – spiega la responsabile dei Presìdi italiani di Slow food, Raffaella Ponzio –. In particolare valutiamo la crescita dell'autostima dei produttori. Perché solo se loro saranno soddisfatti del loro lavoro se ne faranno i principali promotori presso i propri figli». Si parla spesso di "ritorno alla terra" dei giovani e anche fra i Presìdi i casi non mancano. «Nel caso del Bitto, uno storico formaggio della Valtellina – aggiunge Ponzio – i figli di tutti i caricatori d'alpe (i pastori dell'alpeggio ndr) hanno proseguito il lavoro dei padri e sempre più spesso ai concorsi vincono forme di Bitto realizzate da ragazzi di 18 anni».

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi

301 Moved Permanently

Moved Permanently

The document has moved here.