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Questo articolo è stato pubblicato il 04 novembre 2012 alle ore 13:25.
L'ultima modifica è del 04 novembre 2012 alle ore 13:59.

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Raramente nella storia si sono verificati periodi come quello che stiamo vivendo. La globalizzazione economica, priva di un diritto cosmopolita, ha via via sottratto sovranità agli Stati-nazione, sempre più impossibilitati a risolvere i problemi interni e del tutto incapaci ad imporre una politica di solidarietà internazionale. Si ripresenta così, incredibilmente a livello di tutti gli Stati-nazione, la tipica situazione perfettamente descritta in logica dal "dilemma del prigioniero".

Questi, se ritiene che l'altro prigioniero non sia solidale e collaborativo con lui, ma badi cinicamente soltanto al suo egoistico interesse, farà la scelta che avrà come conseguenza una pena di gran lunga superiore a quella che la collaborazione reciproca invece garantirebbe. Non solo in logica, bensì anche in politica, l'ideologia dell'egoismo autosufficiente è stata ed è deleteria.

Eppure proprio ora, in alcuni dei Paesi determinanti per la politica internazionale, si avvicina imminente la necessità di una scelta analoga a quella del "dilemma del prigioniero". Come in esso gli Stati-nazione sono sudditi di un anonimo sovrano, cioè dei punitivi mercati che, nella deriva del capitalismo finanziario governata dalle grandi ricchezze speculative, sono diventati l'occulto e sregolato gestore della sovranità e del destino dei popoli.

Orbene, il 6 novembre si svolgeranno le elezioni negli Stati Uniti e spetterà al popolo americano scegliere tra le proposte politiche del presidente Barack Obama e quelle del suo sfidante Mitt Romney. Ma l'8 novembre, cioè due giorni dopo, inizierà la seduta del Comitato centrale del Partito comunista cinese che indicherà per la nomina solenne, a marzo del 2013, Xi Jinping quale nuovo presidente per il prossimo decennio del Paese più popoloso del mondo e con la seconda potenza economica mondiale.

Mi pare inutile sottolineare che i timori di un devastante aumento della crisi economica e delle sue conseguenze politiche di ogni genere dominano sia il presente panorama americano, sia quello cinese.
E l'Europa? Sia pure con realtà e prospettive diverse, i problemi sembrano del tutto analoghi nelle incertezze e confusioni dovute alle prossime elezioni politiche, sia in Germania, sia in Italia.

Eppure delle tre realtà, quella più complessa, a parer mio, riguarda gli Stati Uniti, sia per ragioni storiche, sia per impostazioni ideologiche e culturali. Non si può infatti dimenticare che, alla base dell'attuale crisi finanziaria globale, qualsivoglia delle specifiche tesi si intenda abbracciare per individuarne le cause, le sue radici affondano indiscutibilmente nella mancata funzionalità del sistema monetario internazionale.

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