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Questo articolo è stato pubblicato il 17 novembre 2012 alle ore 19:09.

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Uno scontro di gioco tra il neozelandese Ma'a Nonu e il nostro Mirko Bergamasco (Reuters)Uno scontro di gioco tra il neozelandese Ma'a Nonu e il nostro Mirko Bergamasco (Reuters)

di Giacomo Bagnasco
Per una volta partiamo dalla fine. Da quei 10 minuti abbondanti che danno un altro volto al risultano, che lasciano un supplemento di amarezza all'Italia e consegnano alla Nuova Zelanda un punteggio largo: 42-10.
Gli azzurri, arrivati al giro di boa dell'ora di gioco, avevano subìto soltanto due mete dai campioni del mondo, e ne avevano messa a segno una memorabile. Il primo tempo era finito 13-7, nella ripresa gli All Blacks non erano ancora riusciti a prendere il largo.

E' vero che in uno sport di combattimento usurare l'avversario è fondamentale, e di conseguenza si possono raccogliere nei minuti finali i frutti di un lavoro partito dal fischio d'inizio, ma insomma, togliamoci il dente e raccontiamoli questi dieci minuti così pesanti. C'erano stati numerosi cambi da una parte e dall'altra (e questo, visto il calibro di alcuni panchinari in nero, ha aiutato gli ospiti) e proprio un rincalzo di lusso - Cory Jane - entra in verticale su una veloce iniziativa dei trequarti e va a segnare nonostante un tentativo di placcaggio. La difesa, azzurra, che non aveva quasi mai sbandato, sembra un po' alle corde, e a metterla ko arriva al 34' e al 36' la doppietta di Julian Savea, l'ala che qualcuno (per intenderci) definisce addirittura l'erede di Jonah Lomu. E allora ecco che il distacco lievita: erano sei punti alla fine del primo tempo, 13 fino al 70', diventano 32 alla fine.

Va bene, ve l'abbiamo raccontato, in finale. Non vogliamo parlare di sconfitta onorevole, formula da abolire; piuttosto, teniamo presente che gli All Blacks sono campioni del mondo e che, nella storia ultracentenaria dei test match, solo cinque Nazionali sono riusciti a batterli: Sudafrica, Australia, Inghilterra, Francia e Galles. Questa puntualizzazione non serve a giustificare alcunché, ma a esaltare l'Italia che abbiamo visto all'opera per tutto il primo tempo e per buona parte del secondo, quella che ha conquistato l'Olimpico. Un team convinto, concentrato e forte: forte fisicamente, al punto di mettere più di una volta in difficoltà i mostri sacri, e forte anche in alcune fasi di gioco. Per una volta si è vista una "squadra" dal numero 1 al numero 15, che si è affidata non solo alla mischia ma ha saputo far girare la palla con buoni risultati. E la difesa è stata super nella maggior parte dei casi: placcaggi su placcaggi e tanta pressione, che sarà pure l'arma dei poveri ma, se attuata bene, mette regolarmente in crisi anche i più ricchi. Una Nazionale con meno oriundi del solito (proprio ora che si sente parlare di spedizioni nelle isole del Pacifico per reclutare potenziali azzurri dai cognomi improbabili) e con alcuni giovani che non hanno mostrato alcun timore: giù il cappello di fronte a Edoardo "Ugo" Gori, a Simone Favaro, all'esordiente Francesco Minto.

Sono (anche) loro che hanno retto alla prima ondata nera, a quel 13-0 dopo 20 minuti che lasciava temere il peggio. La meta di capitan Read, seguita a uno slalom di Cruden e al "vuoto" che Conrad Smith (poi votato man of the match) ha fatto intorno a sé, ha rotto una situazione in sostanza equilibrata. Ma l'Italia non si è scoraggiata e ha scritto una bella pagina della sua storia. Si è presa un permesso di soggiorno nella metà campo dei campioni del mondo. Minuti e minuti in casa loro. Prima una punizione calciata in touche e un possesso recuperato, poi la conquista di un altro penalty e la scelta coraggiosa di sfruttarlo con una mischia. La pressione sui neri aumenta, le ondate stavolta sono azzurre e, dopo un paio di tentativi fermati appena appena, tracimano con la meta di Alberto Sgarbi.

Orquera trasforma, al riposo si arriva soddisfatti e perfino con qualche piccolo rimpianto, visto che un "cross" dello stesso Sgarbi aveva trovato Mirco Bergamasco pronto a raccogliere l'ovale in piena corsa e a lanciarsi. Placcato a cinque metri dalla meta, Mirco, ma non sono mica cose che l'Italia fa vedere tutti i giorni.
Nella ripresa un calcio di Cruden (quasi infallibile) e una meta di Ma'a Nonu, ancora una volta servito da Conrad Smith, allargano il fossato, ma al 13' Orquera lo riduce un pochino con un drop. Segue un quarto d'ora senza punti, ma con gli azzurri che continuano ad azzannare, a strappare palloni, mischie e punizioni. Poi viene il buio.

LA PARTITA
Italia-Nuova Zelanda 10-42 (primo tempo 7-13). Per l'Italia: 1 meta (Sgarbi), 1 drop (Orquera), 1 trasformazione (Orquera). Per la Nuova Zelanda: 5 mete (Savea 2, Read, Nonu, Jane), 3 calci piazzati (Cruden), 4 trasformazioni (Cruden). Calci fermi: Orquera 1 su 1; Cruden 7 su 8

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