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Questo articolo è stato pubblicato il 19 novembre 2012 alle ore 16:20.

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Artur Mas, l'attuale capo del Govern (Reuters)Artur Mas, l'attuale capo del Govern (Reuters)

Una parte di queste imposte resta dunque, in Catalogna, alla Generalitat. Ed è qui che il «sale sulle ferite brucia», secondo Xavier Cuadras Morató, professore d'Economia all'università Pompeu Fabra di Barcellona, e autore di un saggio intitolato "Sense Espanya" ("Senza la Spagna" ed. Labitxaca). Come la maggioranza dei suoi colleghi catalani, l'economista stima che «l'organizzazione del sistema fiscale spagnolo "amputa" ogni anno alla Catalogna l'8% del suo Pil», il che rappresenta circa 16 miliardi di euro annuali; in una regione (o Comunità) autonoma di 7,5 milioni d'abitanti con un deficit pubblico che supera i 14 miliardi di euro.

Gli slogan politici che si possono leggere sulle classiche "banderolas" spuntate in questi giorni (i tipici manifesti recanti le effigi dei candidati che a Barcellona si attaccano in alto, sui lampioni o tra gli alberi nelle arterie più centrali) puntano tutti sugli stessi concetti: indipendenza, federalismo, e/o diritto a decidere. Tutte le forze in campo sono state chiamate, volenti o nolenti, a prendere posizione.

A parte il tradizionale partito indipendentista di sempre - la sinistra Esquerra Republicana – che mantiene le sue posizioni, il PSC, Partito Socialista catalano (per il quale i sondaggi prevedono una dolorosa debacle) si è pronunciato piuttosto a favore di un federalismo e il Partito Popolare locale per una "Catalogna dentro la Spagna". Al di là delle ideologie e dei partiti politici, comunque, tutto fa pensare che in Catalogna il 25 novembre vincerà "l'indipendentismo", sia a destra che a sinistra.

Cosa ne pensano gli Italiani di Barcellona.
Il dibattito infiamma anche gli italiani residenti a Barcellona da molti anni, non sorpresi affatto della piega indipendentista intrapresa. Anzi, tra gli intervistati affiora spesso il rammarico di non poter prendere parte attiva con il proprio voto.

«A mio avviso il dibattito è molto artificiale e forzato dai mezzi d'informazione, in maggioranza controllati dall'establishment politico-economico catalano. Lo trovo molto pompato e demagogico e per quanto una propensione indipendentista esista nella società catalana, oggi, noto una forzatura di toni e livelli. Mi sembra una chiara manovra per distogliere la gente dai veri problemi, come i tagli di questi ultimi due anni e la cattiva gestione perpetrata da questa (CiU) e dalla precedente formazione politica (Psc con il tripartito), canalizzando il malcontento verso Madrid», dichiara Marco Chiesa, 48 di Milano, da 20 anni a Barcellona, dirigente di una multinazionale tedesca.

«Il dibattito è interessante. Quando arrivai qui non capivo affatto il "catalanismo" e la "questione catalana" mi sembrava fuori luogo. Ho scoperto poi che esistono ragioni storiche interessanti e comunque da capire. Ritegno che il ruolo della Catalogna dentro la Spagna sarebbe quello di uno Stato federale, però dal 2000 al 2008 il tentativo è stato fatto ed è fallito, perché da parte spagnola non ci credono; a Madrid non si crede a un'idea plurinazionale. Dunque, l'indipendenza può essere il cammino più giusto e naturale per la Catalogna. Se potessi, voterei un partito indipendentista di sinistra», ritiene Turi Fundarò, 42 anni, di Palermo, da 15 anni a Barcellona, architetto.

«È difficile prendere una posizione, ma penso che l'autodeterminazione debba essere salvaguardata. Questa esigenza però non è attualmente realizzabile. Non so se la Catalogna sia realmente in grado di assumere un'eventuale indipendenza, per cui sono un po' scettica al riguardo. Vedo anche una forte componente di manipolazione dell'opinione pubblica a fini politici, vista la situazione economica attuale. Le connotazioni storiche esistono, ma sono troppo legate al passato e poco al futuro. Se fossi il presidente Rajoy, comunque, seguirei l'esempio del Regno Unito nei confronti della Scozia e permetterei lo svolgersi di un referendum» – dichiara Piccarda Donati, 43 anni, di Bologna, da 12 anni a Barcellona, dirigente in una piccola azienda farmaceutica.

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