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Questo articolo è stato pubblicato il 23 dicembre 2012 alle ore 19:29.

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L'agenda Monti? «Ascolteremo dunque con grande attenzione e rispetto le proposte di Monti sia laddove coincideranno con le nostre, sia laddove se ne allontaneranno. Quanto alle prospettive politiche, già da domani la parola passerà agli italiani». Le parole dette in pubblico da Pier Luigi Bersani dopo la conferenza stampa di Mario Monti sono caute, di apertura e collaborazione come si conviene a chi sa che dopo le elezioni dovrà dialogare con il costituendo centro moderato per la formazione di un governo stabile e duraturo. Ma sono parole che fanno anche trapelare una certa freddezza e irritazione.

Alla fine è accaduto quello che il leader del Pd e candidato premier del centrosinistra temeva. Monti è ufficialmente in campo, con o senza nome scritto sulla scheda poco importa e poco cambia. E non sarà facile gestire una campagna elettorale con tale competitor. Torna il timore che da mesi circola a Largo del Nazareno: «Faranno di tutto per impedirci di vincere. C'è un buon pezzo dell'establishment che non vuole che siamo noi a sedere su quella poltrona». E quel riferimento di Bersani alla "parola che passa agli italiani" vuole dire solo una cosa: Monti ha scelto di contarsi, vedremo chi ha più filo da tessere. «Alla fine conteranno i voti», ripetono gli uomini vicini al leader del Pd.

Bersani tuttavia vuole evitare lo scontro con Monti: nessuna pericolosa rotta di collisione e niente cassa di risonanza a quello che, a questo punto, è un concorrente per Palazzo Chigi. La consegna affidata ai dirigenti Pd è: parlate di Monti il meno possibile. Quanto all'agenda, Bersani ha ripetuto ieri quello che da giorni va dicendo nei suoi incontri internazionali volti a rassicurare sulla continuità delle politiche economiche che hanno evitato all'Italia il disastro: «Bisogna preservare quel che si è fatto ma ci vuole più cambiamento, ci vuole più equità, ci vuole più lavoro».

Il punto ora è tutto politico, e riguarda lo scompaginamento dei poli che l'operazione Monti in campo può provocare. E le carte gettate sul tavolo dal premier uscente vanno certamente in questa direzione. È vero che Monti ha concesso qualcosa al Pd: nel colloquio con Eugenio Scalfari su Repubblica i democratici sono stati riconosciuti come interlocutori per la prossima legislatura («indispensabile allerasi conil Pd»), e il Professore in conferenza stampa ha comunque riconosciuto la serietà di Bersani riservando bastonate solo a Silvio Berlusconi e al suo Pdl ormai populista. Ma gli attacchi di Monti alla Cgil e a Sel sono la conferma dei timori che il leader Pd covava: attaccando Camusso, Vendola e persino Fassina Monti incrina la delicata impalcatura sulla quale Bersani ha costruito la sua candidatura a premier e rischia di far perdere voti al Pd.

Quello di Monti appare a Largo del Nazareno un disegno centrista classico volto a «scomporre anche il centrosinistra». Questo il timore più grande di Bersani e dei suoi. E la sfida del leader Pd è ora quella di distinguersi dal centro moderato senza farsi cacciare nell'angolo angusto di una sinistra poco rassicurante agli occhi dell'Europa. Quell'accenno di Monti ai democratici «montiani» che potrebbero lasciare il partito Bersani non l'ha certo apprezzata, così come non gli è piaciuto il riferimento alle «posizioni articolate» del Pd sui temi economici. Il disegno appunto di chi punta a infilare un cuneo tra Bersani e Sel, tra il Pd e la Cgil, «storicamente vicini» come ha detto lo stesso Monti.

Bersani deve cercare di far finta di non sentire gli attacchi a Sel e Cgil, se vuole evitare di scontrarsi apertamente con il Professore e spostarsi troppo a sinistra vanificando il lavoro delle ultime settimane tutto volto ad accreditarsi con mercati e cancellerie internazionali.
Tuttavia il "cuneo" individuato da Monti non è fittizio ma mette in luce idee diverse all'interno del Pd, a non da oggi, sulla natura del riformismo. Basta ascoltare Pietro Ichino, che ha deciso di non candidarsi alle primarie di partito perché non si sente rappresentato dalla linea portata avanti dal responsabile economico Stefano Fassina: «Il Pd che deve chiarire la propria posizione.

Noi ascoltiamo Bersani che va nelle capitali europee a tranquillizzare gli interlocutori dicendo che il centrosinistra proseguirà nella strategia Europa di Monti, però sentiamo il responsabile nazionale per l'economia del Pd che dice in modo molto netto che la strategia di Monti è la causa dei mali dell'economia italiana – dice Ichino –. Io chiedo al Pd di allearsi con tutte quelle forze che sceglieranno di far parte di questa linea europea. Se Bersani farà questa scelta io sarò felice, ma dovrà smentire categoricamente Fassina. A queste condizioni resto con il Pd, altrimenti farò la campagna elettorale con l'agenda Monti».

Attratti dalle sirene montiane anche alcuni parlamentari che si sono schierati con Matteo Renzi alle primarie e che non hanno trovato spazio nelle liste. Si tratta di parlamentari, come Stefano Ceccanti, che pur non avendo radicamento sul territorio possono rappresentare un'opinione diffusa. Intanto già hanno annunciato l'addio al partito per aderire al centro montiano quattro parlamentari cattolici del Pd: si tratta del senatore Lucio D'Ubaldo, fioroniano ormai ex, con Benedetto Adragna, Flavio Bertoldi e Gianpaolo Fogliardi.

E altri, con ogni probabilità, se ne aggiungeranno nei prossimi giorni. Non tutto certo è nelle mani di Bersani, e la discesa (o meglio la salita) in campo di Monti non aiuta. Ma un maggiore coinvolgimento di Matteo Renzi, che proprio all'area più a destra del Pd parla e sa parlare, potrebbe aiutare a evitare una diaspora troppo forte. Così come potrebbe aiutare una maggiorre chiarezza sui temi economici, a cominciare da quelli del lavoro e dei necessari tagli alla spesa da effettuare nella prossima legislatura.

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