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Questo articolo è stato pubblicato il 05 gennaio 2013 alle ore 09:31.

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Il Mezzogiorno d'Italia dovrebbe essere uno dei principali temi nei programmi politico-economici elettorali perché dal suo sviluppo dipenderà in buona parte anche quello dell'Italia ben oltre il quinquennio di una legislatura. Il dualismo del nostro Paese è infatti una delle principali cause della bassa crescita italiana alla quale si associano squilibri socio-economici che non hanno pari in altri Stati dell'Eurozona.

Anche perché il Sud continua a indebolirsi per l'emigrazione verso il Nord (italiano e non) di risorse umane molto qualificate che hanno rafforzato le economie di destinazione. Eppure nei programmi elettorali i riferimenti al Mezzogiorno sono per ora scarsi o generici o monotematici. Sono quindi opportune delle riflessioni e delle richieste ai vari partiti non perché ci spieghino come prendono "i voti del Sud" ma per dare risposte all'Italia. O, quanto meno, per evitare estremi molto dannosi: quello della "rivendicazione sudista"; quello del "separatismo nordista"; quello della rinuncia conoscitiva; quello dell'indifferenza operativa. Come riferimento storico e di attualità consideriamo la Svimez (Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno) che dal 1946, anno di fondazione, ad oggi ha studiato i problemi del sud proponendo soluzioni fuori dagli interessi di parte (o di partito).

La prima riflessione è di natura storica, anche per un richiamo di metodo. La Svimez fu fondata da grandi personalità quali Rodolfo Morandi, Giuseppe Paratore, Francesco Giordani, Giuseppe Cenzato, Donato Menichella e Pasquale Saraceno. Tutti (salvo Menichella) sono stati in successione presidenti della Svimez. Chi ha oggi responsabilità politiche e non conosce le loro opere per lo sviluppo del nostro Paese dovrebbe studiarle bene per capire l'impegno di italiani del Nord (Morandi, Cenzato, Saraceno) e del Sud (Paratore, Giordani, Menichella) per l'unificazione economica nazionale.
Sono personalità queste alle quali l'Italia deve molto anche per l'uscita dal disastro della dittatura e per la ricostruzione alla quale molto dettero anche altri, a cominciare da Luigi Einaudi ed Ezio Vanoni con i quali vari dei personaggi citati avevano rapporti ideali e politici molto stretti. Eppure non si trattava di personalità appartenenti tutte allo stesso partito politico ma tutte dotate di alta etica civile, competenza, concretezza.
Esse erano convinte che la Svimez dovesse propugnare una "logica industriale" applicata a tutti i settori per lo sviluppo del Sud: dall'agricoltura alla manifattura, dalle infrastrutture ai servizi.

La "logica industriale" è per noi quella espressa dall'impostazione "politecnica" alla Carlo Cattaneo alla quale si sono ispirate tante personalità della imprenditoria, della tecnologia, delle istituzioni. L'economia non è qui ridotta solo al mercato perché contano molto gli investimenti a rendimenti differiti e la progettazione a lungo termine per imprese, infrastrutture, piani regolatori e altro. È una impostazione che comporta necessariamente la collaborazione tra pubblico e privato, tra autonomie locali e coerenze nazionali collocate (adesso) in un contesto europeo. Quindi vi era e vi è un forte tasso di politica nel progetto di "logica industriale" della Svimez che, purtroppo, mancò l'obiettivo non perché sbagliato ma perché distorto da "logica di sistema" a multiforme pratica clientelare e assistenzialista anche per alcune imprese scese dal nord al sud. È una storia che molto può insegnare anche oggi.

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