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Questo articolo è stato pubblicato il 22 febbraio 2013 alle ore 20:15.

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Qualche anno fa, prima che finisse in carcere, l'economista Said Leylaz, rivoluzionario della prima ora, così spiegava come funziona l'Iran: «Le esportazioni di petrolio permettono di finanziare un sistema di prezzi sussidiati per cui l'energia non costa nulla, dalla benzina, alla bolletta della luce e del gas. Con le entrate dell'oro nero lo Stato non ha bisogno, per riempire le casse, che i suoi 70 milioni di abitanti paghino le tasse o i servizi pubblici. Non ha bisogno della loro produttività o del loro reale impegno economico o sociale».

Il sistema ha reso i cittadini dipendenti dal governo: il 50% degli iraniani che percepisce uno stipendio non produce né beni né servizi. Ma i disoccupati, con una demografia ancora esplosiva, sono 4-5 milioni, più o meno quanti sono gli effettivi delle forze armate e delle milizie di Pasdaran e Basiji.

Da allora dentro l'Iran il sistema non è cambiato molto e non sarebbe mutato quasi nulla se non fossero intervenute le sanzioni sull'export di petrolio e le transazioni finanziarie: in fondo l'Iran, con l'oro nero, è un Paese che può essere amministrato male e andare avanti lo stesso. Era così ai tempi dello Shah e si è continuato allo stesso modo nella repubblica islamica.

Il ministro dell'economia: entrate petrolifere dimezzate
Ma le sanzioni stanno mutando la situazione
, per stessa ammissione dei vertici. Shamseddin Hussein, ministro dell'economia, ha affermato alla tv di stato che le entrate petrolifere sono scese del 50%: nel 2011 l'Iran ha incassato 117 miliardi di dollari, nel 2012 si è scesi a 77. La produzione di petrolio è intorno ai 3,5 milioni di barili al giorno, 1,8 vengono consumati all'interno e l'export è di circa un milione. Ma una parte dell'oro nero resta sulle petroliere, al largo del Golfo, in attesa di andare sui mercati che oggi per Teheran sono essenzialmente quattro: Cina, Corea del Sud, Giappone e India.

Il petrolio paga tutto: costituisce l'80% delle esportazioni e il 60% delle entrate statali. Ma se non scorre sui mercati tutta l'economia va male: l'inflazione ufficiale è al 27%, quella reale al 50%, la disoccupazione è in ascesa, molte aziende chiudono e gli impianti lavorano al 30-40 per cento della loro capacità.

L'indicatore più evidente della crisi, oltre ai prezzi al bazar, è il crollo del rial, scambiato vicino ai 40mila per un dollaro: due anni fa bastavano 10mila rial per un dollaro, l'anno scorso 15 mila. Con uno stato più povero ma anche per migliorare le performance economiche, l'Iran negli anni scorsi aveva dato il via al taglio dei sussidi, partendo dalla benzina: solo una quota mensile ormai viene distribuita e acquistata con le tessere a prezzi calmierati.

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