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Questo articolo è stato pubblicato il 04 marzo 2013 alle ore 08:01.

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Si leggono in questi giorni, tra giornali e siti italiani, riflessioni e notizie sull'avvio dei tagli automatici della spesa pubblica americana che sono fuorvianti. Fuorvianti perché potrebbero dare l'impressione che in Europa, mettendo mano alla stretta delle tasse e dimenticando l'importanza della crescita, abbiamo fatto bene e dato il buon esempio.

Orrore oltre che errore: questo potrebbe suggerire finte priorità per la missione del nuovo governo italiano qualunque esso sia: il "paramount" oggi resta la crescita.
Ma vediamo come nascono queste notizie o riflessioni "parziali". Da una parte si dà l'impressione che con un accordo politico a Washington i tagli per 85 miliardi di dollari quest'anno e per 1.200 miliardi in dieci anni non ci sarebbero stati. Sbagliato: i tagli ci sarebbero stati comunque, ma non sarebbero stati lineari. Erano in cantiere dal 2010 ed erano stati identificati dal punto di vista quantitativo anche prima. Il "sequester" automatico è dunque un semplice sostituto (proposto fra l'altro da Obama 18 mesi fa) del mancato accordo politico per decidere come tagliare un ammontare che sarebbe stato "superiore" a quello dei tagli automatici, 1.500 miliardi di dollari in dieci anni.
Ma certamente non è l'America a seguire l'Europa in materia di austerità. Sia perché fin da subito si sapeva che i tagli (inclusi i risparmi per due guerre) ci sarebbero stati. Sia perchè la differenza di fondo nell'approccio su come risolvere la crisi resta: l'America dice: prima pensiamo a occupazione e crescita, poi al rigore, quando le cose si saranno stabilizzate. In Europa sotto tutela tedesca si è detto: prima mettiamo ordine fiscale, poi pensiamo alla crescita.

Washington e Berlino hanno avuto un duro braccio di ferro su questo punto. A partire dall'autunno 2008/inverno 2009, prima con Bush e poi con Obama, e dunque sotto cappelli politici opposti, gli ingegneri finanziari Paulson/Bernanke/Summers/Geithner e le rispettive presidenze avevano solo una certezza, stabilizziamo la crisi, poi si vedrà. Erano sotto il tiro di mille cassandre, soprattutto da noi, ma alla fine hanno avuto ragione. Da noi (in Europa dico, perché l'Italia è stata costretta a fare quello ha fatto da politiche dissennate sullo spread) torto.

Certo per l'America era facile: non ha mai avuto problemi di "spread". Soloni di varia estrazione predicano il "declino" americano, ma gli Usa resteranno certamente in questi primi 20 anni del nuovo secolo e probabilmente molto oltre, il paese "riferimento": si sono permessi di portare il rapporto disavanzo/Pil al 10% per tenersi a galla e la Fed ha fatto iniezioni di liquidità senza precedenti. Ma noi, come Europa, come Bce, avremmo potuto fare lo stesso o quanto meno accompagnare all'austerità (meglio sul fronte spesa pubblica che su quello aumenti tasse) a manovre espansive: la Fed ha cominciato nel 2008. Noi grazie a un geniale manovrare di Mario Draghi ci siamo arrivati solo nel luglio del 2012 e in modo parziale. Già questo dovrebbe farci alzare un sopracciglio sul chi segue chi.

Ma è l'impostazione dell'austerità a essere completamente diversa. L'America dopo una violenta battaglia sul "fiscal cliff" ha mantenuto i tagli fiscali di Bush con l'eccezione dei redditi piu' elevati e ha messo a punto veri tagli della spesa pubblica. Vuole ridurre in sostanza il "peso" dello Stato nell'economia che aveva raggiunto il 28% con Obama al circa il 25 per cento. E arriviamo all'ultimo punto: la battaglia politica. Obama cercava di difendere quel 28% e le spese sociali che avrebbero sofferto sotto la scure dei tagli e chiedeva che i 1500 miliardi di dollari in dieci anni fossero recuperati per metà con aumenti delle tasse. I repubblicani si opponevano. Come per la presidenza del 2012, Obama vuole portare l'istanza agli elettori. Confida in due cose: i tagli indiscriminati alla spesa pubblica provocheranno un tale disagio per l'americano medio da costringere i repubblicani a un compromesso subito, o, se i repubblicani resisteranno, la protesta troverà la sua voce alle elezioni del 2014 per il rinnovo della Camera e di un terzo del Congresso. E in questo, di nuovo, l'America non segue certo l'Europa: ora può permettersi i tagli con uno sfondo più politico che economico, con il suo perenne conflitto sull'equilibrio fra Stato e mercato. E con la tranquillità di un tasso di crescita che, nonostante i tagli, viaggerà fra l'1,5 e il 2% per il 2013.

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