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Questo articolo è stato pubblicato il 07 marzo 2013 alle ore 07:23.

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La direzione nazionale del Pd ieri ha approvato in massa la linea del segretario Bersani, incardinata su un governo di minoranza che strizza l'occhio ai grillini grazie ad un programma di 8 punti vicino ad alcune istanze del Movimento. Il sudoku del post voto è però tutt'altro che risolto, perché l'ipotesi Governo di minoranza è solo una tra le molte sul tavolo del capo dello Stato, tutte con quotazioni oscillanti a seconda della giornata e degli umori dei vari leader. Passiamole in rassegna.

Incarico a Bersani e governo di minoranza targato Pd
È l'ipotesi sostenuta da Pier Luigi Bersani: grazie al premio di maggioranza imposto dal "Porcellum", il Pd ha tre volte i deputati di Grillo, il doppio di quelli di Berlusconi, e si candida a guidare il governo contando sulla possibile uscita dall'aula del Senato dei grillini, che negli ultimi giorni hanno però sempre confermato il loro «no» ad ogni possibile appoggio ai democrats. Il Quirinale, anche per questa ragione, è molto freddo all'idea di concretizzare la cosa. Ma Bersani non demorde, anche perché la direzione Pd (per ora) non ha chiesto un cambio di rotta. «Da questa riunione di ipotesi B non ne sono venute, è venuta una iniziativa A», ha sottolineato il segretario nella sua replica finale, per poi ammettere: «è un sentiero molto stretto, o lo si supera e si comincia con un governo che cambi davvero le cose, o almeno questo sentiero lo si sgombrerà dalla nebbia». Una soddisfazione, in tempi così incerti.

Da valutare poi il ruolo di Renzi, che ha assistito alla relazione Bersani del mattino ma poi ha lasciato la riunione senza commentare: chi tace acconsente - come sostiene Vannino Chiti - o chi tace sta zitto, come crede chi conta in una scelta attendista da leader di riserva? Lo capiremo nei prossimi giorni.

Governo di scopo tecnico istituzionale o "del Presidente"
Se la prima ipotesi, come sembra assai probabile, non andrà in porto, prenderà corpo come "piano B". Non dei democratici ma del Quirinale, che potrebbe essere costretto a giocare la carta del governo "politico istituzionale" cui affidare come compito principale quello di modificare la legge elettorale, di mettere in cantiere alcune riforme istituzionali e di varare i provvedimenti necessari a sostenere l'economia prima del ritorno alle urne. Chi lo guiderebbe? Sarebbe sicuramente un governo a termine, composto da figure di riconosciuta autorevolezza a cavallo tra il modo politico e quello istituzionale, in grado di ricevere il consenso di un'ampia maggioranza in Parlamento.

Monti-bis e prorogatio del Governo del Professore dimissionario
Non è fantapolitica, ma una ipotesi che Napolitano potrebbe essere costretto a percorrere se le due precedenti formule non trovassero i voti necessari in Parlamento. Il programma, in questo caso, non potrebbe essere molto diverso da quello di un Governo di scopo, quindi legge elettorale in tempi brevi e misure tampone in economia per tranquillizzare i mercati. Un contributo in questa direzione potrebbe arrivare dal dialogo che lo stesso Monti ha aperto con il sindaco di Firenze Matteo Renzi, uscito sconfitto dalle primarie del Pd per il candidato premier. Intanto, mentre si cercano soluzioni di governo, il premier dimissionario Monti va comunque avanti e governa in regime di "ordinaria amministrazione".

Spazio agli ultimi arrivati: Governo "a 5 stelle"
Al momento non ci pensa davvero nessuno, neanche i diretti interessati, anche per la dichiarata inesperienza dei grillini, ma nei partiti "tradizionali" potrebbe affacciarsi la tentazione di "mettere alla prova" i nuovi arrivati.

Governissimo Pdl-Pd o esecutivo di "Grande coalizione"
Insieme alla precedente, nella scala delle probabilità, è l'ipotesi che più si avvicina allo zero, almeno sotto forma di un'alleanza diretta tra il maggiore partito del centrodestra ed il maggiore partito della sinistra: la distanza tra Pd e Pdl è antropologica e culturale, ribadita in tutte le salse dall'ultima direzione dei democratici. Il centrodestra, Berlusconi in testa, però ci spera, convinto che sia l'unico modo per giocare ancora un ruolo "pesante". Per rimetterla in pista, da qui al 15 marzo quando si riuniranno per la prima volta le Camere, dovrebbero davvero cambiare troppe cose negli assetti e negli equilibri della sinistra. Da registrare, comunque, la posizione solitaria di un peso massimo come Massimo D'Alema, che ieri in direzione ha messo in guardia da chi teme che si arrivi ad un accordo con i berluscones: «Vogliamo liberarci dal complesso, dalla malattia psicologica dell'inciucio? Gramsci diceva che la paura dei compromessi é l'emanazione di una subalternità culturale che serpeggia nelle nostre file. Il fatto che in un Paese in cui da vent'anni le forze politiche non sono d'accordo su nulla il dibattito sia dominato dall'inciucio é segno di fragilità culturale». Poco prima, si era rammaricato «che non sia possibile l'unità nazionale. Colpa di Berlusconi, non ce ne possiamo rallegrare: il tentativo di comprare parlamentari é un attentato alla democrazia. Lo steccato sta nel leader che guida la destra». E se Berlusconi facesse un passo indietro? Al momento è impossibile, ma domani, chissà…

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