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Questo articolo è stato pubblicato il 12 marzo 2013 alle ore 15:00.
L'ultima modifica è del 12 marzo 2013 alle ore 12:19.

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Nella migliore delle ipotesi un arbitrato internazionale o un ricorso alla Corte internazionale di giustizia dell'Aia. Nella peggiore, un braccio di ferro tra India e Italia, con New Delhi che potrebbe effettuare tutta una serie di contromosse: dalle sanzioni economiche (inclusa la rottura di accordi commerciali), alla semplice protesta, al più pesante richiamo dell'ambasciatore in Italia. È questo il quadro che, secondo Enzo Cannizzaro, ordinario di diritto internazionale presso l'università La Sapienza, si delinea all'indomani della decisione del governo italiano di tenere a casa i suoi marò: i due fucilieri della Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone accusati di aver ucciso il 15 febbraio del 2012 due pescatori indiani, scambiati per pirati, al largo delle coste di Kerala, nell'Oceano Indiano. Latorre e Girone non faranno ritorno in India, alla scadenza del permesso loro concesso (22 marzo).

L'ambasciatore d'Italia a New Delhi, Daniele Mancini, è stato convocato al ministero degli Esteri per fornire spiegazioni. Messaggi anche da Bruxelles: «La Ue - spiega Michael Mann, il portavoce dell'alto rappresentante della politica estera della Ue, Catherine Ashton - prende nota della dichiarazione del ministro Terzi e spera che si trovi una soluzione nel pieno rispetto della convenzione Onu sul diritto del mare e delle leggi internazionali». «L'Ue - aggiunge - si augura inoltre che «una soluzione possa essere trovata nel pieno rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto internazionale e marittimo».

Professore, dopo lo strappo italiano, che cosa accadrà?
La strada, nel breve-medio termine (anche se non c'è un limite temporale entro cui va fatta istanza), potrebbe essere quella dell'arbitrato internazionale. Per prima cosa va fatto un tentativo di conciliazione, che non escludo - visto quanto accaduto negli ultimi giorni - possa andare in porto. Poi va nominato un tribunale arbitrale, composto da cinque persone: due nominate per parte, e un presidente. Ma perché ciò accada, è necessario che l'India cooperi e non giochi la carta del muro contro muro. Il governo di New Delhi, infatti, potrebbe anche chiudere la porta all'arbitrato: in questa ipotesi, ricorrerebbe a tutta una serie di contromisure, partendo dal fatto che il nostro Paese ha violato una convenzione bilaterale (l'accordo di restituzione dei marò): dalle sanzioni economiche, con la rottura di accordi commerciali, alle proteste, fino al richiamo dell'ambasciatore nel nostro Paese. Insomma, la partita da diplomatica diventerebbe politica.

Secondo lei l'India cambierà atteggiamento o mostrerà i muscoli?
Loro hanno sempre respinto la proposta italiana di nominare un tribunale terzo, a cui assegnare la soluzione della controversia. Forse adesso potrebbero cambiare idea. Le opportunità sarebbero, in questo caso, due: o, appunto, un tribunale arbitrale o anche rivolgersi alla Corte interternazionale di giustizia dell'Aia, se le parti ne accettassero la giurisdizione.

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