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Questo articolo è stato pubblicato il 24 marzo 2013 alle ore 19:58.

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Attaccare l’Italia sta diventando una vera e propria moda in India dove, a quanto pare, il ritorno di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre è stato interpretato come un gesto di estrema debolezza di Roma. Dopo le minacce all’ambasciatore Daniele Mancini è ancora una volta l’ambasciata a New Delhi a finire nell’occhio del ciclone, questa volta per le lamentele del personale indiano.

Otto impiegati hanno infatti presentato una denuncia contro il governo italiano per “discriminazione” basata sulla razza e nazionalità. Lo riferisce oggi il quotidiano The Economic Times sostenendo che questa iniziativa apre un “nuovo fronte legale” dopo quello sui marò e quello, ora concluso, che ha coinvolto l'ambasciatore Mancini. Nel ricorso presentato ieri all'Alta Corte di Delhi dagli avvocati Gopal Sankaranarayanan e Aman Garg, il personale accusa l'ambasciata di praticare una disparità di salario tra gli impiegati locali e quelli italiani che hanno le stesse mansioni. Gli addetti, che lavorano da diversi anni negli uffici dell'ambasciata, chiedono anche i danni alle autorità italiane per violazione dei contratti salariali. Gli otto dipendenti avevano ottenuto a gennaio il permesso del ministero degli Esteri di rivolgersi al tribunale per denunciare la missione diplomatica italiana.

Circa le sorti di Latorre e Girone continua l’animato dibattito indiano sull’applicabilità o meno della pena di morte ai due militari italiani che “non è applicabile” secondo Fali Sam Nariman, presidente dell'Ordine degli avvocati indiani, costituzionalista ed autorità nel campo degli arbitrati internazionali. In una intervista oggi al quotidiano Business Standard,  Nariman sostiene che ''non siamo di fronte ad un assassinio deliberato fatto intenzionalmente, ma ad un caso di confusione di identità, e questa è una posizione plausibile. I marò italiani - ha proseguito - molto probabilmente hanno scambiato i pescatori indiani per pirati. Certo l'incidente c'è, ma non si tratta di omicidio premeditato”. Quindi “l'assicurazione data dal ministro degli Esteri che la pena di morte non verrà chiesta per i due marinai non è fuori luogo. Stiamo alimentando - ha concluso - controversie dove non esistono”. Di diverso avviso invece un altro avvocato della Suprema Corte indiana, Rajeev Dhavan, che rimprovera al ministro degli Esteri Salman Khurshid di aver assunto con l’Italia un impegno che non dipendeva da lui. L’opposizione indiana, che considera la consegna dei marò un suo successo politico, calca la mano nei confronti dell’Italia

Il Bharatiya Janata Party (Bjp), principale partito di opposizione indiano, ha respinto oggi le rivendicazioni italiane in merito alla giurisdizione nel caso "Gli italiani possono dire quello che vogliono, ma i fatti non cambiano. Degli italiani hanno ucciso due indiani in acque indiane. Devono essere processati in India in base alle leggi indiane", ha detto il leader del Bjp, Balbir Punj, secondo quanto riferisce l'emittente Ibn. Alla stessa emittente, il sottosegretario agli Esteri, Staffan De Mistura, in un'intervista aveva ribadito la posizione italiana secondo la quale i due militari devono essere processati nel Paese di appartenenza. Al giudizio di Punj si aggiunge quello del ministro dell'Interno del Kerala, Thiruvanchoor Radhakrishnan, secondo il quale “l'incidente è avvenuto all'interno del territorio indiano”.

In Italia intanto gli interventi di ieri dei vertici di Difesa e Marina hanno ben evidenziato il malumore e la frustrazione dei militari per quanto avvenuto pur nell’ambito di un linguaggio istituzionale. L’intervento dei vertici militari era del resto necessario di fronte al generale scoramento e frustrazione che pervade il mondo militare italiano. Del resto fonti che hanno chiesto l’anonimato riferiscono che la decisione di riportare a Delhi i marò, stabilita nel primo pomeriggio di giovedì scorso,  non è stata comunicata tempestivamente ai vertici militari che lo avrebbero appreso dalle agenzie di stampa. Le parole di Bineli Mantelli e De Giorgi, entrambi uomini legati al ministro della Difesa Giampaolo Di Paola che li ha posti nelle scorse settimane ai vertici di Difesa e Marina, potrebbero anticipare un intervento ancora più diretto dello stesso ministro, atteso martedì in Parlamento col titolare della Farnesina, Giulio Terzi, per spiegare gli ultimi sviluppi della vicenda.

Secondo indiscrezioni Di Paola, anche lui ammiraglio, avrebbe reagito con rabbia alla decisione di Monti di fare marcia indietro con l’India. L’uomo è da sempre un ufficiale "tutto d’un pezzo", abituato a muoversi  negli ambienti istituzionali italiani e internazionali considerato che prima dell’incarico di governo ricopriva la carica di presidente del Comitato Militare della Nato. Ciò nonostante tra i militari, presso i quali è stimato, sono in molti ad aspettarsi che martedì il ministro Di Paola trovi le parole giuste per rappresentare lo sdegno di chi veste l’uniforme.

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