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Questo articolo è stato pubblicato il 16 aprile 2013 alle ore 06:35.

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Nel 2007 Romano Prodi, presidente del Consiglio, e Tommaso Padoa Schioppa, ministro dell'Economia, accennarono alla possibilità di ricorrere alle riserve auree per ridurre il debito pubblico. Il loro intendimento non fu formulato in un progetto perché la reazione fu dura, soprattutto da parte dellìopposizione politica, e l'ipotesi fu accantonata.
Nel 2009 fu la volta del ministro dell'Economia Giulio Tremonti che, con il decreto legge n.78 del luglio 2009, tentò di assoggettare a un'imposta di rivalutazione, per 300 milioni di euro, le riserve auree della Banca d'Italia. Questa si oppose appellandosi alla Bce che confermò la non tassabilità in quanto ciò avrebbe leso l'autonomia della Banca centrale. Perciò, quando il decreto 78 fu convertito nella legge n 102 dell'agosto 2009, l'articolo 14 (relativo all'imposta sulle plusvalenze su oro non industriale di società ed enti) si limitò a registrare al comma 4 una norma per memoria piuttosto criptica che non ci pare chiuda la possibilità di tassare l'oro delle riserve ufficiali. Ed è da qui che i giuristi dovrebbero ripartire.
Comunque sull'oro italiano è tornato il silenzio salvo qualche articolo su quotidiani, tra cui vari di Alberto Quadrio Curzio, ed alcuni di stampa straniera nei quali si argomentava che le banche italiane volevano rivalutare le loro partecipazioni in Bankit, tramite le riserve auree, per adeguarsi ai requisiti patrimoniali di Basilea 3.
L'azionariato privato
nella Banca d'Italia
C'è un'altra tematica su cui è calato il silenzio e che nella nostra proposta si connette a quella dell'oro. Si tratta della Legge 28 dicembre 2005, n. 262 (art. 19), con la quale ha preso avvio la riforma dello statuto della Banca centrale, approvato poi dall'assemblea generale dei suoi partecipanti il 28 novembre 2006. La citata legge disponeva che entro il 31 dicembre del 2008 fosse definito, mediante un regolamento, l'assetto proprietario della nostra banca centrale che doveva eliminare i soggetti privati dal proprio "azionariato".
Quella data è passata invano. Un accenno al problema fu fatto da Mario Draghi nelle considerazioni finali il 29 maggio del 2009. Occasione nella quale anche Enrico Salza, all'epoca presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo, ne trattò nell'intervento all'assemblea degli azionisti della Banca d'Italia.
Il tema è delicato, ma è strano che a distanza di quattro anni da una scadenza prevista dalla legge non se ne parli più. Ecco perché abbiamo connesso i due temi (riserve auree e assetto proprietario di Bankit) anche in relazione alla ripatrimonializzazione delle banche private italiane sia per riallinearle a quelle di altri Paesi della Ue che hanno fruito di ampi interventi dello Stato sia per facilitare l'erogazione del credito.

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