Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 17 aprile 2013 alle ore 07:42.
C'è una singolare convergenza tra gli esponenti della vecchia classe politica e i "cittadini" della nuova classe politica: per entrambi, l'elezione del Presidente della Repubblica è un affare esclusivamente interno. La Presidenza della Repubblica è una carica da assegnare a qualcuno che sia espressione del nostro sistema dei partiti o della nostra società civile.
L'arrivo del nuovo M5S in Parlamento ha prodotto l'effetto paradossale di rafforzare il carattere provinciale della vecchia politica italiana. I vecchi e i nuovi politici parlano la stessa lingua, anche se si differenziano per guardare il proprio ombelico da sopra (i primi) e da sotto (i secondi). Si tratta di una logica da mettere in discussione in modo netto. Vediamo perché.
Il ruolo del presidente della Repubblica è cambiato più volte nel lungo secondo dopo-guerra. Durante la Prima Repubblica, fu quello di proteggere l'accordo tra i principali partiti della maggioranza centrista. Certamente, in alcuni passaggi critici, il presidente della Repubblica dovette andare al di là della sua funzione notarile, favorendo la formazione di nuovi equilibri inter-partitici. Tuttavia, il presidente veniva scelto per ciò che aveva fatto (nell'uno o nell'altro partito della maggioranza), piuttosto che per ciò che avrebbe dovuto fare. La crisi verticale dei partiti della Prima Repubblica ha creato un contesto assai diverso per l'elezione del presidente della Repubblica. A partire dagli anni 90 del secolo scorso, al presidente della Repubblica è stato chiesto di svolgere una funzione maieutica rispetto alla formazione del nuovo sistema di partito bipolare. Negli ultimi vent'anni è stato il presidente della Repubblica a definire i confini che i partiti non dovevano superare nel loro bipolarismo esasperato. Il notaio del passato si è trovato così ad esercitare un ruolo tutt'altro che notarile. Pur dentro i vincoli costituzionali della sua irresponsabilità politica, gli ultimi presidenti della Repubblica sono venuti ad assolvere una funzione altamente politica (ricomponendo contrasti, sostituendo governi, definendo piattaforme programmatiche di riforma).
Il contesto in cui oggi la presidenza della Repubblica è costretta ad agire è divenuto ancora più complesso. In primo luogo, a distanza di vent'anni, non si è ancora formato un sistema di partito stabile e legittimato. Ciò ha creato un vuoto di decisionalità politica che solamente la Presidenza della Repubblica ha potuto riempire. La Presidenza della Repubblica continua ad essere l'unica istituzione che può guidare la formazione di un bipolarismo più civile. In secondo luogo, si è trasformato in modo sostanziale il contesto europeo in cui l'Italia opera. La crisi dell'euro ha spinto verso una integrazione verticale delle politiche collegate alla moneta comune. In un sistema in cui le scelte di un Paese hanno conseguenze dirette e imprevedibili sugli altri Paesi, ogni Paese ha dovuto europeizzare se non internazionalizzare i propri sistemi di decisione politica. La crisi prolungata dei nostri partiti ha impedito che tale processo si svolgesse all'interno del governo (e delle sue strutture di direzione come è avvenuto in Germania o in altre democrazie parlamentari). In Italia quel processo si è trasferito all'interno della Presidenza della Repubblica. Così, il presidente della Repubblica è venuta a esercitare un ruolo politico non solo rispetto alle forze e alle leadership interne, ma anche rispetto ai leader e alle istituzioni del sistema europeo e internazionale. Questa trasformazione del ruolo presidenziale non deve stupirci. Le istituzioni cambiano, anche se le loro forme costituzionali rimangono le stesse.
Ciò che stupisce (anzi preoccupa) è invece l'inconsapevolezza dei vecchi politici e dei nuovi cittadini circa la complessità funzionale che è venuta a scaricarsi sulla Presidenza della Repubblica. Un'inconsapevolezza che li porta a pensare quest'ultima come a un premio da assegnare ad un vecchio militante di partito o ad un beniamino della società civile. Se smettessero di guardarsi l'ombelico, si accorgerebbero che l'Italia ha un bisogno esistenziale, invece, di un presidente della Repubblica capace di agire in due direzioni contemporaneamente, all'interno e all'esterno. Un Giano in grado di tenere collegato il Paese ai centri decisionali europei e internazionali, ma anche di rendere meno esasperata la sua politica interna.
Permalink
Dai nostri archivi
Moved Permanently
The document has moved here.
La corsa al Colle
- Per Le Monde la rielezione di Napolitano è «il naufragio della politica»
- Pd, Renzi lancia la sfida per la leadership: «Cambiare l'Italia e il partito»
- Napolitano, quelle congratulazioni né formali né scontate di Obama
- La Lega apre su Bersani al Quirinale. Ma Letta: «Non è candidato»
- Lombardi: Napolitano? «Si goda la vecchiaia, no a Bonino e Prodi». Grillo apre la selezione online per il candidato al Quirinale
Video e audio
- Dopo Napolitano, subito il Governo (di Stefano Folli)
- IL PUNTO / Quirinale: accordo last minute oppure il caos (di Stefano Folli)
- IL PUNTO/Un presidente da eleggere, il 18 aprile, al primo scrutinio (di Stefano Folli)
- Quirinale, possibile intesa dell'ultima ora ma con conseguenze sul Pd (di Stefano Folli)
- Quirinale. Emma Bonino vince il sondaggio tra gli ascoltatori di Italia in Controluce