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Questo articolo è stato pubblicato il 21 aprile 2013 alle ore 13:19.

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WASHINGTON – Ci sono due aspetti nelle reazioni della Casa Bianca alla rielezione di Giorgio Napolitano alla presidenza della Repubblica Italiana: l'aspetto formale e quello informale. Come ci sono due reazioni americane, quella di Washington e quella di New York, della comunità politica e della comunitàè finanziaria, che segue molto più da vicino di quanto si potrebbe immaginare quel che succede nel nostro paese. È lungo questi quattro punti di riferimento, intrecciati fra loro, che ieri abbiamo recepito segnali convergenti di approvazione (e in molti casi sollievo) per come l'Italia ha sbloccato una situazione che stava diventandoesplosiva, che aveva incancrenito uno dei più grandi partiti italiani, portato veleno per strada e introdotto veti incrociati irrisolvibili.

Sul piano formale il Presidente Barack Obama ha inviato a Napolitano un messaggio non soltanto da cerimoniale: «Ammiro la sua decisione di servire ancora una volta il popolo italiano come presidente e benvenuta sia la decisione che il Parlamento italiano ha preso, di accordarsi per selezionarlo perché continuasse il suo servizio».

Benvenuta «l'unità» del Parlamento sul nome di Napolitano, dunque. Una frase che rievoca quella di Presidente della Repubblica sulla «responsabilità» che attende le forze politiche guardando in avanti a un nuovo governo. In quanto all' «ammirazione», beh non è un termine che questo Presidente o altri presidenti esprimono con leggerezza parlando di leader politici stranieri. Del resto Obama ha sempre avutoun rapporto stretto e sincero con Napolitano, lo abbiamo visto chiaramente anche nel corso dell'ultima visita. E ha volutosottolinearlo: «Per sette anni il Presidente Napolitano ha dimostrato una leadership straordinaria in Italia, in Europa e nel mondo», ha detto ancora aggiungendo che «il suo impegno deciso per l'alleanza fra Stati Uniti e Italia è profondo e determinato e riflette i duraturi legami fra i nostri popoli. La sua continua gestione della relazione transatlantica ci consentira' di muoverci in avanti insieme affrontando le sfide del nostro tempo».Queste ultime parole riguardano quello a cui l'America tiene di piu:garanzie per il futuro su atlantismo e sfide, da conquistare e da mantenere.

Un endorsment pieno, e chiaro. Colpisce perché la CasaBianca da qualche giorno si rifiutava di esprimere commenti su quel che capitava nella nostra politica, anche "off the record". Venerdi',ad esempio, un funzionario vicino all'amministrazione non voleva prendere posizioni neppure in"background" sulla difficile elezione del nuovo presidente della Repubblica: «È una situazione troppo volatile, il problema è interno italiano....ci auguriamo che l'Italia scelga la linea della continuità del processo delle riforme". Nulla di nuovo. L'America ha tenuto il timone dritto sulla continuità delle riforme. Non perché volesse suggerire di nuovo Monti, come hanno scritto in molti nei nostri media; non perché fosse allineata con la Merkel, ma perche'l'Italia è al centro di un crocevia delicatissimo attorno al quale poggiano molti accordi internazionali, a partire da quelli sottoscritti al G20 di Los Cabos per arrivare a quello appena lanciato per la creazione di un'area transatlantica di libero scambio. È stato dopo gli accordi di Los Cabos, dopo aver costruito un'impalcatura multilaterale per superare la crisi che la Banca Centrale Europea ha annunciato le sue scelte più accomodanti di politica monetaria, ci spiegava il funzionario americano.

E ieri, a voto avvenuto, un altro funzionario ha invece espresso privatamente sollievo: «visto come si mettevano le cose è la soluzione migliore per il vostro paese». Il sollievo e' giustificato. Mi è stato ribadito che continuità vuole dire «lavorare insieme responsabilmente, in base agli accordi sottoscritti da governi». L'America era preoccupata da svolte imprevedibili in un futuro governo italiano forse anche per ragioni egoistiche: avrebbe potuto temere per la sua crescita interna.Qui l'opinione di Washington coincide con quella dell'alta finanza a New York. Anche se New York aggiunge un messaggio "operativo": «Noi possiamo scegliere di investire in molte parti del mondo, non "dobbiamo" venire in Italia – mi diceva la settimana scorsa a New York un importante finanziere - Per questo la vostra credibilità serve a voi, non a noi. Spero che i vostri politici questo lo capiscano e sappiano che cosa si deve fare, al più presto». E il rischio per l'America? Gli chiedevo: «Se l'Italia dovesse rinnegare i suoi impegni e dare l'impressione di essere allo sbando i mercati europei ne risentiranno. La crisi potrebbe aggravarsi. E in quel caso, sì, ne soffrirà anche l'economia americana».È questo dunque il pensiero condiviso fra Washington e New York: la ripresa economica americana non è ancora in grado di fare da traino. Una crisi dirompente in Europa per le debolezze di un Paese chiave come l'Italia sarebbe pericolosa anche per l'America.Il mio interlocutore vicino all'amministrazione ci tiene anche a spiegare che "continuità" non significa "austerità", ma significa passare come previsto dagli accordi Los Cabos al privilegio della crescita: «Napolitano ora dovrà scegliere il capo di un nuovo governo, sara' di transizione, ma avrà responsabilità importanti per scelte economiche chiave anche per le riforme utili alla crescita...». Il funzionario ricorda che durante gli incontri a Washington di qualche mese fa e quelli precedenti anche a Roma, Barack Obama è sempre rimasto colpito dalla lucidita' di visione di Napolitano,soprattutto sulle questioni economiche. Non ci sono scommesse, dunque,ma ci sono auspici, di nuovo informali: che il nuovo governo possa essere guidato da un premier di grande esperienza internazionale («e questo non vuol dire Monti, vuol dire di credibilità internazionale»,ci tiene a dire).

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