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Questo articolo è stato pubblicato il 19 aprile 2013 alle ore 06:40.

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La notte era stata burrascosa. I numeri usciti fuori dall'assemblea del Pd mercoledì sera non facevano presagire niente di buono. Ma che Franco Marini fosse impallinato da più della metà dei grandi elettori democratici (oltre duecento è la stima) nessuno l'aveva messo in conto. Probabilmente neppure il diretto interessato che, di buon mattino e in abito scuro, si era recato nel suo ufficio di Palazzo Giustiniani, al Senato, a poche centinaia di metri da Montecitorio dove si stava svolgendo lo scrutinio. Attorno alle 14,30 è però giunto il verdetto: 521 voti contro gli almeno 672 necessari per raggiungere il quorum qualificato previsto per le prime tre votazioni.
Eppure sulla carta c'erano a disposizione ben 745 voti, ovvero 151 più del necessario, visto che oltre a Pd, Pdl e Lista civica era arrivato in mattinata il sostegno della Lega. Anche se i renziani e buona parte di coloro che la sera prima avevano detto di non essere favorevoli alla candidatura Marini avessero confermato il loro dissenso, restava comunque un margine rassicurante. Tant'è che sia tra i fedelissimi del segretario democratico che tra i berlusconiani regnava inizialmente un cauto ottimismo sugellato dall'abbraccio in aula tra il leader del Pd e il segretario del Pdl Angelino Alfano.
Ma con il passare dei minuti e l'aumentare delle pubbliche defezioni di decine di grandi elettori democratici, l'umore è cambiato e il timore di veder precipitare la situazione si è impossessato del Transatlantico. E una volta cominciato lo spoglio, la sconfitta ben presto si è materializzata tra i capannelli di parlamentari accalcati davanti agli schermi televisivi mentre il presidente della Camera Laura Boldrini scandiva: «Bianca, bianca, bianca...». I novelli deputati e senatori ci hanno messo un po' a capire cosa stesse avvenendo, ma le vecchie volpi hanno fiutato subito l'aria: «Troppe bianche, non ce la fa».
«Boh, vediamo...» è stata la mezza risposta di Bersani mentre poco più in là Berlusconi si intratteneva in un faccia a faccia con Pier Ferdinando Casini, prima di levare le tende per decollare verso Udine, dove ha chiuso la campagna elettorale per il candidato del Pdl alla presidenza della Regione, rinunciando alla seconda votazione. Il Cavaliere aveva avuto da Bersani assicurazione che Marini sarebbe stato eletto al primo scrutinio. Ma vista come è andata, è tornato in piazza evocando il ritorno «rapido» alle urne e lasciando ad Alfano (e a Verdini) il compito di mantenere aperto il canale di comunicazione con l'altra sponda.
Il timore del fantasma di Romano Prodi ha ripreso ad aleggiare: «Ma noi non possiamo farci niente, se il Pd decide di non voler più avere una condivisione della scelta sul Quirinale faccia pure», diceva Verdini mentre l'ex ministro Raffaele Fitto prefigurava uno scenario con Prodi al Colle e un governo Grillo-Pd con ministri «alla Rodotà o Zagrebelsky impegnati solo a far fuori Berlusconi».
Quel che comunque è chiaro a tutti è che alla seconda votazione, per evitare una débâcle totale, sarebbe stato meglio trincerarsi dietro l'astensione. E così è stato. Pdl e Pd hanno dato indicazioni ai rispettivi gruppi di votare scheda bianca per evitare di affossare definitivamente Marini. La Lega invece non ha partecipato al voto. Anche perché l'ex presidente del Senato aveva fatto sapere di non avere intenzione di ritirarsi, probabilmente confidando nel ripescaggio alla quarta votazione, dove basta la maggioranza assoluta dei 1.007 grandi elettori e quindi i 521 voti ottenuti ieri sarebbero sufficienti.
Anche questa seconda votazione però qualche indicazione l'ha data. Stefano Rodotà, il candidato di Grillo sostenuto anche da Sel, ha perso 10 voti passando da 240 a 230 mentre l'ex sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, indicato dai renziani fin dal primo scrutinio, arriva a 90 voti contro i 41 del primo scrutinio (grazie al contributo di parte di Scelta civica), così come Massimo D'Alema (da 12 a 38), mentre perde un voto Romano Prodi (da 14 a 13). Cresce anche il drappello di voti per Giorgio Napolitano che arriva a 10. Segnali in vista della partita che si aprirà stamane con il terzo scrutinio, alla vigilia del quale si terrà l'assemblea del Pd per decidere se insistere su Marini o se invece puntare su un altro candidato.
Il Pdl attende di conoscere la proposta dei democratici. Il «cambiamento di scenario» invocato da Bersani dopo il fallimento di Marini sembra ipotizzare che possa essere indicato anche un nome sgradito al Cavaliere. Il voto di ieri è infatti anzitutto la bocciatura dell'ipotesi di grande coalizione su cui era stata costruita la candidatura Marini, nonostante gli sforzi di Bersani di voler tener distinta la partita del Quirinale da quella del governo. L'appuntamento è per questo pomeriggio quando si terrà la quarta votazione dalla quale potrebbe uscire il nuovo Capo dello Stato.
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