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Questo articolo è stato pubblicato il 21 aprile 2013 alle ore 08:12.
Tutti, o quasi, in piedi ad applaudire, quando Laura Boldrini proclama l'elezione di Giorgio Napolitano. Il dodicesimo Presidente della Repubblica, il primo investito di un secondo mandato, ha ricevuto 738 voti rispetto ai 997 votanti, ovvero 234 in più del quorum di 504. Dopo due clamorosi fallimenti, Marini e Prodi, accompagnati dall'implosione del Pd, Napolitano era il solo che potesse garantire il superamento della grave impasse istituzionale e politica. La sua elezione significa infatti che tra poco ci sarà un governo. Un governo del Presidente.
Le avvisaglie erano già arrivate la sera prima. Il pressing su Napolitano era cominciato subito dopo il flop di Romano Prodi. Bersani per primo, ma anche Berlusconi e Maroni, dopo rapide consultazioni, si erano convinti che quella fosse l'unica ipotesi ormai percorribile. La riluttanza di Napolitano a un bis era nota, e ancora in mattinata l'aveva ricordata Mario Monti: «Siamo fermi, anche dagli ultimi contatti avuti, alla sua ripetuta dichiarazione di non disponibilità a una nuova candidatura», diceva in una conferenza stampa il premier uscente continuando a perorare l'elezione al Colle di Anna Maria Cancellieri. Ma nel giro di poco tempo, al Quirinale sale prima Pier Luigi Bersani, poi Silvio Berlusconi e infine lo stesso Monti seguito dal leader della Lega Maroni.
Nelle stesse ore alla Camera andava in scena la quinta votazione alla quale il Pdl non aveva partecipato mentre Pd, Scelta civica e Lega avevano optato per la scheda bianca proprio perché era in corso il pressing su Napolitano. A Stefano Rodotà erano andati 210 voti grazie al sostegno di Grillo e Sel ma nessuno del Pd si era aggiunto. Tutti attendevano la risposta di Napolitano agli appelli per la sua «rielezione». Il Capo dello Stato aveva voluto prendersi qualche ora prima di comunicare la sua decisione giunta poco dopo le 14, circa un'ora prima dell'inizio del sesto e decisivo scrutinio.
«È fatta», era la battuta più ricorrente tra i parlamentari che affollavano il Transatlantico e il cortile di Montecitorio. Sorridenti pidiellini e leghisti, molto meno i democratici e i grandi elettori di Sel. Il voto su Napolitano attesta anche la rottura definitiva dell'alleanza di centrosinistra, visto che i vendoliani, come avevano per altro già fatto fin dal mattino, erano tornati sulla candidatura di Rodotà.
Ma la larga condivisione ritrovata sul nome di Napolitano non scioglieva tutti i dubbi alimentati dai colpi di scena di questi giorni. I capannelli di grandi elettori si interrogavano sui numeri. «Adesso andiamo a votare e vediamo. Non mi fate dire niente», rispondeva laconico un Bersani scuro in volto a chi gli chiedeva previsioni. Il segretario dimissionario del Pd era già rimasto scottato due volte dai «tradimenti» dei suoi. Qualcuno, come il piediellino Luca D'Alessandro, andava in giro con una tabella in bella mostra sull'Ipad dove erano indicati i voti a disposizione delle diverse forze politiche. Sulla carta Napolitano poteva contare su 780 grandi elettori. Ma nessuno era disposto a scommettere su quanti sarebbero stati i franchi tiratori. Il problema era la tenuta del Pd. Invece stavolta i democratici hanno fatto quello che avevano detto: a Napolitano alla fine sono mancati una quarantina di voti, una pattuglia di "dissidenti" (non solo del Pd) ritenuta da tutti più che «fisiologica».
Grillo intanto tuonava paventando che fosse in atto «un colpo di stato», annunciando il suo arrivo a Roma in concomitanza con la conclusione dello spoglio. La manifestazione è stata poi rinviata per i timori che potesse salire la tensione e perché piazza Montecitorio è molto piccola. Nessun incidente ma solo qualche fischio ai parlamentari che decidono di uscire.
Nel frattempo i leader si intrattengono con i giornalisti. Silvio Berlusconi è raggiante: «Risultato eccellente». Il Cavaliere, in piedi in aula, aveva a lungo applaudito al momento della proclamazione. «Ho vinto io? Non credo che sia così», dice lasciando Montecitorio. L'ex premier vuole evitare di compromettere gli equilibri ma la soddisfazione è evidente: voleva un governo di larghe intese e lo ha ottenuto ma mai avrebbe immaginato che a questo risultato si sarebbe aggiunta anche la deflagrazione del Pd.
I presidenti delle Camere salgono poi al Colle per comunicare al Capo dello Stato la sua rielezione. Il secondo mandato di Napolitano comincerà ufficialmente lunedì con il giuramento ma Re Giorgio lo scettro non lo ha mai riposto.
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