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Questo articolo è stato pubblicato il 13 maggio 2013 alle ore 08:17.

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L'utilizzazione di test standardizzati nelle scuole e nelle università continua a suscitare un dibattito molto acceso. Le prove Invalsi, quest'anno estese anche all'ultimo anno delle superiori, sono state nuovamente accompagnate da proteste e scioperi, peraltro limitati, se è vero che meno dell'1% delle classi è mancato all'appello.

È noto che i test, soprattutto quelli a risposta multipla "chiusa", presentano aspetti problematici, ed esiste una fiorente letteratura sui loro limiti e difetti soprattutto nei Paesi dove sono usati da più tempo e dove costituiscono parte preponderante della valutazione in ambito scolastico.
Investirli di funzioni salvifiche sarebbe quindi non solo sbagliato, oltre che ingenuo. Di certo, però, i test non sono neppure la fonte di tutti i mali: come ogni forma di esame, misurano alcuni elementi lasciandone altri in ombra, valorizzano alcune abilità a scapito di altre. Il primo punto da chiarire è quindi cosa ai test si può chiedere e cosa no. Per loro stessa natura non possono offrire, è chiaro, una valutazione complessiva e organica delle caratteristiche di un singolo studente né, indirettamente, della qualità dell'insegnamento che ha ricevuto. Assai più legittimo, invece, è estrarne indicazioni statisticamente significative sui livelli di apprendimento generali, di una scuola o di una classe, una volta che i risultati siano opportunamente comparati con classi e scuole dotate di caratteristiche simili. Prendere la temperatura non sostituisce la diagnosi, e tantomeno la terapia, ma non per questo i termometri sono inutili, e se abbiamo 40 di febbre conviene capire il perché.

La critica principale che viene rivolta alle prove Invalsi è che misurano la memoria e non la capacità di comprensione. È difficile correlare questa critica con i test effettivamente erogati. Quelli per certi aspetti più importanti, rivolti alla seconda e quinta elementare, fanno esattamente il contrario, costringono cioè gli allievi a ragionare e non a ricordare, non a sapere, in seconda, cosa vuol dire "ostruito", ma a dedurlo dal contesto. Si tratta di esercizi in linea con quelli proposti dai libri di scuola, particolarmente focalizzati, però, sulla comprensione analitica di testi e sull'abilità di inferire in modo corretto informazioni e conclusioni a partire dai dati offerti: un'abilità insostituibile per qualunque forma di studio futuro, tanto più preziosa e meritevole di essere sviluppata quanto più le forme di cognizione favorite dal dilagare della comunicazione multimediale mettono a rischio la capacità di concentrarsi sulle pieghe di un testo scritto, auscultarne i significati e le sfumature, collegare l'uso linguistico con specifiche emozioni e intenzioni. Un'educazione allo spirito critico, in altre parole, piuttosto che all'apprendimento puramente ripetitivo.

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