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Questo articolo è stato pubblicato il 06 giugno 2013 alle ore 07:45.

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Beirut - ReutersBeirut - Reuters

"Potrebbe accadere fra mezz'ora: c'è odio in giro, la gente è divisa di nuovo per linee confessionali. Basta una chiamata alle armi e tutto ricomincia". Abu Ali, nom de guerre di generalità nascoste per motivi professionali, non annusa l'aria di Beirut: se lo facesse, aspirerebbe solo lo smog del traffico e il fumo dei narghile. Non ha bisogno di sistemi così rudimentali per cogliere il pericolo. Lui la città la controlla scientificamente, nello stretto senso del termine.

Del movimento sciita di Hezbollah è il capo delle "Saraya al Muqawama", letteralmente Serraglio della resistenza, la rete spionistica e di controllo del territorio. Abu Ali ha il comando diretto del quarto settore: il centro della città con le banche, i suk, i grandi alberghi e i quartieri più popolari di Hamra, Basta, Bachoura. Ci sono duemila uomini al suo servizio che gli riferiscono tutto quello che succede nei condomini, cosa si nasconde nelle cantine, che si dice nei negozi, chi apre e chi chiude un ristorante, chi arriva in un albergo e chi parte.

Del cuore della città ne sa più del sindaco e dei servizi di sicurezza dello Stato. "Non abbiamo alcuna collaborazione con loro", spiega. "Fiducia zero: non c'è generale che non sia al soldo di un'ambasciata straniera o di un partito libanese". Superfluo ricordargli che neanche lui è al di sopra delle parti: "Ma noi siamo la Resistenza".

Abu Ali è il prodotto del Libano di oggi: sull'orlo di un'altra guerra civile, con molte interferenze straniere, ancora una volta vittima della Siria, senza un Governo ma con tanti sostituti settari regione per regione del Paese, quartiere per quartiere delle sue città. "Se scoppia qualcosa di serio, Beirut la controlliamo in poche ore. Tripoli al Nord, no. Sidone al Sud, si. Nello Chouf, in montagna, ci possiamo provare". E' la geografia a incastro che conosce Abu Ali e che qui insegnano alle elementari.

In realtà Abu Ali è il prodotto del Libano che è sempre stato. "Il Libano non doveva mai nascere, non esiste senso nazionale. Senza nemmeno tentare di dividerlo, il Paese è già diviso". Il capo di "Saraya al Muqawama" a suo modo è un uomo saggio.

Entrare nel suo ufficio nel quartiere di Bachoura – niente più di un finto negozio sulla strada, con i vetri a specchio che non fanno vedere nulla da fuori e tutto da dentro – è come un ritorno al passato. E' uguale all'ufficio di Sami che negli anni Ottanta, durante la guerra civile, curava la sicurezza a Hamra per i drusi di Walid Jumblatt e che, per simpatia, nel tempo libero si occupava anche della mia. Stesso disordine costruttivo. Due Kalashnikov lucidissimi appoggiati al muro con un tascapane pieno di caricatori. Un paio di walkie talkie. Tazzine di caffè turco e bicchieri di tè zuccheratissimo.

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