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Questo articolo è stato pubblicato il 06 giugno 2013 alle ore 06:55.

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L'Europa deve opporsi con forza al declino industriale che ha eroso la sua competitività e capacità di crescere e creare lavoro. Il disagio sociale, la moria d'imprese, le ristrutturazioni che si susseguono, impongono soluzioni rapide a livello Ue. Se chiediamo sacrifici, abbiamo anche il dovere di dare speranze concrete ai 23 milioni di disoccupati e alle nuove generazioni.

Il resto del mondo è ripartito. Non solo i paesi emergenti, dove vi sarà il 70% della crescita da qui al 2020, ma anche Usa e Giappone che crescono intorno al 2%. L'Europa è ferma. E alcuni Stati membri sono piombati da anni in una recessione che sembra non avere fine.
Dobbiamo fare di più, uscire da schemi e dogmi, avere uno sguardo nuovo e non rassegnato. Bisogna avere l'onestà di riconoscere alcuni errori. Non siamo «il giardino dell'Eden» per chi vuole fare industria o intraprendere. I dati sono impietosi. All'inizio del 2001 l'Europa attirava il 43% degli investimenti globali, oggi poco più del 20%. La crisi ha accelerato il declino. Meno 350 miliardi di euro d'investimenti, 4 milioni di posti persi nell'industria, la base manifatturiera - che superava il 20% del Pil fino agli anni 90 - precipitata al 15,2%. Negli ultimi cinque il baricentro della manifattura si è bruscamente spostato, con un + 8% della Cina arrivata al 22% della quota globale, superando Usa e l'Ue a 15.

Perdere l'industria significa pesare meno nel mondo di domani. È stata un'illusione pensare di poter delegare ad altri il manifatturiero puntando su servizi e finanza. L'80% dell'innovazione – compresa quella che consente di fronteggiare sfide quali il cambiamento climatico o l'aumento demografico – viene dall'industria. Tre quarti dell'export è legato al manifatturiero, dove per ogni posto creato se ne generano fino a due nei servizi. Arretrare in settori chiave, quali acciaio, auto o cantieristica, rischia di farci arrivare a un punto di non ritorno, compromettendo la massa critica indispensabile per un'industria europea forte.
Lo scorso ottobre la Commissione ha adottato una strategia per invertire il declino puntando al 20% di Pil legato a manifatturiero entro il 2020. Per questo dobbiamo focalizzarci su migliore accesso al credito, ai mercati e alle risorse, formazione e più investimenti per l'innovazione industriale. Adesso bisogna attuare politiche coerenti.

L'Europa deve tornare a essere amica dell'industria, ad attirare investimenti. Prima di tutto completando il mercato interno e liberando tutto il suo potenziale residuo. Stiamo lavorando a un quadro di norme e standard stabile che non scoraggi il business e stimoli la competitività.

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