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Questo articolo è stato pubblicato il 13 giugno 2013 alle ore 09:01.

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Due magistrati depongono sulla cattura di Provenzano mentre a Reggio si mischiano le carte

Il primo ha scandito una data: 2006. Il secondo ha raccontato la sua verità sulla cattura. Al centro dei discorsi sempre lui: Bernardo Provenzano, che terminò la sua latitanza proprio nel 2006. Giorno e mese: 11 aprile. Protagonisti, poche settimane fa, da una parte del tavolo, due magistrati e dall'altra quattro loro colleghi: Antonino Di Matteo, Roberto Tartaglia, Francesco Del Bene e Vittorio Teresi, gli stessi che il 27 maggio hanno iniziato a Palermo il processo sulla trattativa tra Stato e mafia.

Questi due interrogatori – i primi di una serie – fanno parte di una costola di quel procedimento. In questo caso si tratta di un fascicolo contro ignoti, nel quale viene dunque già ipotizzato un reato (o più), sulle modalità con le quali "Binnu u tratturi" venne arrestato. Ad arricchire il fascicolo numerose inchieste giornalistiche e, a quanto risulta al Sole-24 Ore, un lungo servizio di Sky mai andato in onda con interviste e fuori onda dirompenti di magistrati e investigatori proprio sulla cattura del boss mafioso. Quel servizio sarebbe stato già acquisito dalla Procura di Palermo.

Il primo e il secondo magistrato
Il nome del primo magistrato ad essere interrogato dai quattro pm di Palermo è top secret e al momento l'unica cosa che il Sole-24 Ore è in grado di dire è che ha indicato il 2006 come data nella quale si concluse la trattativa tra Stato e Cosa nostra. In quell'anno, dunque, secondo il magistrato audito, cessarono gli effetti di quel presunto accordo sul quale sta indagando da tempo la Procura di Palermo. Dopo la cattura di quel garante potrebbe esserci stato un nuovo ipotetico accordo che vedrebbe un altro garante dei patti inconfessabili tra parti deviate dello Stato e Cosa nostra: Matteo Messina Denaro che, potrebbe dunque non essere un caso, è ancora latitante.

Del secondo magistrato che si è seduto di fronte ai 4 pm di Palermo si sa che è Alberto Cisterna, ora a Tivoli in attesa di sapere cosa ne sarà dei suoi ricorsi contro l'allontanamento dalla Dna.Cisterna il 5 giugno, davanti a Di Matteo, Teresi e agli altri due colleghi ha ribadito e spiegato meglio, punto per punto, i fatti del giugno e dell'agosto 2011, allorquando prima nel corso dell'interrogatorio con l'allora capo della Procura di Reggio Calabria e poi con un lungo esposto denuncia al procuratore generale di Reggio Calabria, ribadì che sarebbe venuto il momento di parlare della cattura di Provenzano e di altri latitanti eccellenti di mafia. Quel momento è venuto e, tra le prime cose che gli sono state chieste, c'è proprio la sua conoscenza (o meno) del cluster di servizi di Sky nel quale, pure lui, rese un'intervista.

Le parole di Grasso
La presunta trattativa sulla cattura di Provenzano fu spontaneamente accennata (e negata) da Piero Grasso, che di Piero Luigi Vigna prese il posto, nel corso dell'audizione al Csm dell'11 dicembre 2011, che stava discutendo della situazione di Alberto Cisterna, suo braccio destro in Dna e in quel momento accusato di corruzione in atti giudiziari sulla scorta delle dichiarazioni del pentito calabrese Nino Lo Giudice. Accuse non solo cadute successivamente (archiviazione chiesta dalla stessa Procura di Reggio Calabria) ma che ora assumono una veste ancora più inquietante visto che Lo Giudice con un doppio clamoroso colpo di scena, la scorsa settimana non solo è evaso dalla località segreta dove stava scontando una condanna ai domiciliari ma ha ritrattato tutto quanto aveva detto ai pm reggini, proprio a partire dalle dichiarazioni rese su Cisterna.

E cosa disse Grasso nell'audizione al Csm? Quanto segue: «… mi si prospettò, da parte della Guardia di Finanza questo signore che diceva addirittura di avere dei contatti con il latitante Provenzano, il quale si doveva trovare in località naturalmente non precisata ma comunque nel Lazio. Ricordo che siccome precedentemente, quando ero procuratore a Palermo, avevamo fatto un'indagine sulla presenza di Provenzano a Marsiglia: eravamo riusciti a ottenere un frammento di un reperto medico/sanitario relativo alla sua operazione a una spalla e alla prostata, che ci aveva consentito di trarne il Dna. Insomma, non potendo catturare tutto il latitante ne avevamo catturato un pezzetto, però era utile per evitare che potessero magari far trovare un corpo spacciandolo per il latitante, perché già si parlava che era morto. Quindi essendo in possesso di quel reperto, a colui che diceva di essere in contatto con il latitante Provenzano, dissi di farci avere qualcosa - un fazzoletto, un bicchiere, un qualcosa – per poter confrontare il Dna prima di procedere a qualsiasi ulteriore passo verso quelle che erano le richieste. Perché veniva quasi come un "messaggero" di Provenzano. Insomma qualcosa che non convinceva. Fra l'altro io conoscevo le indagini, perché avevo appena lasciato il territorio di Palermo e non c'era assolutamente nessuna possibilità di qualche collegamento. Quindi a me sembrava più un truffatore che altro. Infatti feci questo colloquio investigativo ma poi nel tempo scoprii che altri due in precedenza erano stati fatti da Vigna e dai sostituti Cisterna e Macrì».

Macrì ci crede
L'"informatore-messaggero" laziale, per Grasso è un truffatore ma per Enzo Macrì, ora Procuratore generale ad Ancona, era invece affidabile. E sì perché Macrì si chiese e si chiede ancora perché un bel giorno un pazzo bussò alle porte della Dna per cercare di fregare – al tempo stesso – Provenzano e lo Stato, dal quale pretendeva tra i due i quattro milioni e con quali speranze di riuscirci visto che i soldi li avrebbe ricevuti solo a consegna avvenuta.

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