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Questo articolo è stato pubblicato il 30 giugno 2013 alle ore 14:12.

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Da circa due settimane, l'opinione pubblica ha preso più che mai coscienza dell'esistenza di un centro di potere mondiale, le cui strutture, decisioni e dichiarazioni condizionano l'andamento dei mercati e pertanto, in questo momento di crisi globale, il destino dell'economia del pianeta.

Quel potere è nelle mani di alcuni banchieri centrali, gli alchimisti ("The Alchemists", come titola il recente libro di Neil Irwin), che dal '600 hanno offerto biglietti di carta in più agevole alternativa ai vari metalli, usati come neutrale moneta di scambio.
E via via la stessa moneta cartacea è diventata elettronica, sicché per le Banche centrali l'attività fisica dello stampare moneta è ancillare e secondaria, e quando acquistano vari titoli e bonds, lo fanno con una moneta virtuale che prima non esisteva, mentre quando li vendono quella moneta cessa nuovamente di esistere.
Nelle loro funzioni rimane altresì la stabilità dell'intero sistema bancario, strumento determinante dell'economia globale, influenzata largamente dai tassi di interesse da loro controllati. Il recentissimo fatto di grande rilievo è consistito nella caduta dei prezzi delle azioni, delle obbligazioni e delle commodities in Asia, in Europa e nelle Americhe, in conseguenza di alcune pur vaghe dichiarazioni del governatore della Fed, Ben Bernanke. Questi, ritenendo che l'economia americana stia migliorando, ha fatto intendere che la Banca centrale potrebbe ridurre la sua politica di sostegno, diminuendo gli ingenti acquisti di titoli di stato e di obbligazioni e ritoccando il tasso di interesse, ora praticamente a zero. Questa politica, che è andata sotto il nome di "quantitative easing", è certamente eccezionale e di emergenza e non può in nessun caso diventare permanente, sicché sotto questo profilo le parole del governatore sembrerebbero giustificate.

La prima considerazione di immediato rilievo è che la sola dichiarazione di un'ipotesi di possibile cambiamento della politica monetaria americana ha creato una reazione di panico negli investitori che si sono sentiti immediatamente scoraggiati e sprovvisti di tutela. C'è allora da chiedersi se la Fed sia semplicemente la Banca centrale degli Stati Uniti o non piuttosto la Banca centrale mondiale.
La politica monetaria delle Banche centrali conta dunque ben di più delle politiche economiche dei governi, sovente rimproverati di non tenere il passo con le dovute riforme strutturali.
L a Bank for International Settlements, un gruppo che rappresenta le Banche Centrali, compresa la Federal Reserve e la Bce, la settimana scorsa ha avvertito i leader politici di non aspettarsi che la politica di moneta a buon mercato delle Banche centrali possa sostenere ancora a lungo l'economia globale. L'organizzazione, che ha la sede a Basilea, nel suo rapporto annuale ha ripetuto che i politici devono fare la loro parte, di difficile ma essenziale lavoro di riforme. Sta di conseguenza diventando urgente e di complessa interpretazione il rapporto fra la politica monetaria delle Banche centrali e quella economica dei governi nel mondo globalizzato. Le società democratiche hanno affidato ampi poteri ai banchieri centrali, scelti fra persone altamente qualificate, perché i sistemi monetari sono così importanti e tecnicamente complicati che non è mai sembrato ragionevole affidarli all'esito di un voto politicamente influenzabile da interessi precostituiti. Ne deriva l'ulteriore, ambiguo problema dell'indipendenza delle Banche vcentrali dal potere politico, tenendo conto che il loro ruolo statutario è soprattutto quello di tenere sotto controllo l'inflazione e la stabilità della moneta.

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