Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 03 luglio 2013 alle ore 21:15.
L'ultima modifica è del 03 luglio 2013 alle ore 17:30.

My24

Blindati e forze speciali sono stati schierati nella zona attorno al palazzo presidenziale di Ittahadeya per impedire che ci fossero contatti fra i manifestanti anti Morsi che protestavano davanti al palazzo e i pro, attestati davanti alla moschea di Rabaa el Adaweya, che dista qualche chilometro.

dal nostro inviato Ugo Tramballi
L'ora è passata ma dell'ultimatum si sono perse le tracce. I militari ricordano che è necessario dare alla trattativa il tempo necessario, prima di passare all'eventuale azione. La lettura del comunicato finale del comandante in capo delle Forze armate, viene spiegato, "può essere questione di minuti o di ore". Quello che conta, tuttavia, non è quando verrà letto ma quali ne saranno i contenuti: se sarà una soluzione pacifica o un colpo di stato sanguinoso.

È stata una giornata piena di tensione. La calma apparente, il silenzio inusuale per una metropoli normalmente caotica come il Cairo, rivelavano il nervosismo e la paura cresciuta di giorno in giorno, dall'inizio delle manifestazioni. Le notizie confuse, confermate, smentite e confermate di nuovo servivano solo per aumentare l'ansia. L'ultimatum dei militari, prima del quale Morsi e i Fratelli musulmani avrebbero dovuto trovare una via d'uscita politica, in accordo con le opposizioni, era stato fissato per le 16.30. Passata quell'ora, in assenza di fatti nuovi, le Forze armate avrebbero assunto i pieni poteri fino, probabilmente ad arrestare il presidente.

Solo nella tarda mattinata è stato annunciato che il generale Abdel Fattah al-Sisi, il capo di stato maggiore e ministro della Difesa, aveva convocato i partiti in un incontro alla sede del Consiglio supremo delle forze armate. C'erano tutti. Mohamed elBaradei, Nobel per la pace e uno dei leader del principale fronte delle opposizioni, diventato il portavoce del nuovo e magmatico Movimento 30 giugno: il giorno della manifestazione dei 15 milioni di egiziani, domenica scorsa, organizzato dai tamarrud con la partecipazione di tutte le opposizioni. Partecipava Sahadi Khatatmi, il leader di Libertà e giustizia, il partito della fratellanza e del presidente Morsi. C'erano anche i rappresentanti di al-Azhar, le massime autorità del clero sunnita, e il papa copto con i suoi consiglieri.

C'era la volontà di trovare una via d'uscita politica, di cercare un compromesso che soddisfacesse tutti senza umiliare nessuno. Tranne forse Morsi, la cui carriera politica sembra vicina alla fine, comunque vadano le cose. Ma come per non far cadere la pressione sui Fratelli musulmani, un paio d'ore prima della teorica scadenza dell'ultimatum, i militari avevano occupato il palazzo della televisione di Stato, facendo evacuare il personale. E' da lì che avrebbero letto il loro comunicato finale, annunciando la soluzione politica o la loro "assunzione di responsabilità": che poteva essere definita in vari modi, il più corretto dei quali è golpe.

Poco prima delle 16.30 ancora i militari annunciavano che quella era solo un'ora indicativa. Era la prova che il negoziato continuava e che si sarebbe preso tutto il tempo necessario. Le due opzioni sull'immediato futuro dell'Egitto restano aperte fino all'ultimo: il compromesso politico o il confronto che può portare a una soluzione violenta.

Shopping24

Dai nostri archivi