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Questo articolo è stato pubblicato il 30 luglio 2013 alle ore 07:35.
L'ultima modifica è del 30 luglio 2013 alle ore 07:35.

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Alle privatizzazioni per ridurre il debito pubblico hanno di recente accennato il ministro Saccomanni e il Presidente Letta. Una riflessione ci pare dunque opportuna sulle cessioni (parziali o totali) a soggetti privati tra i quali vi sono anche le "market unit" con finalità pubbliche come le Casse depositi e prestiti dei vari paesi europei. Consideriamo due temi: uno sul passato, l'altro sul presente e il futuro. A tali fini useremo spesso l'ottimo "barometro" della Fondazione Eni Enrico Mattei (che dal 2010 s'è associata a Kpmg).

Il passato. La domanda è perché e quanto s'è privatizzato in Italia? Dal 1985, quando si avviò un processo significativo, passando ai record della seconda metà degli anni '90, per giungere ad oggi,sono quasi 30 anni nei quali le nostre privatizzazioni ebbero quattro componenti: contribuire al risanamento delle finanze pubbliche; ridurre l'enorme perimetro dello Stato "imprenditore"; rendere efficienti imprese e settori dove l'intervento pubblico era clientelare; aumentare la concorrenza anche per rispettare la prescrizioni europee. Essendo molto difficile scindere queste ragioni, il giudizio va dato sulla globalità delle privatizzazioni. Considerate le grandi resistenze politiche frapposte alle dismissioni e la complessità della normativa italiana, il risultato è stato di successo, pur con condivisibili critiche a casi singoli.

Dal 1985 al 2012 l'Italia ha effettuato dismissioni (sia dello Stato che degli Enti locali, sia parziali che totali) con introiti per 157 miliardi di euro correnti preceduta nella Ue25 (senza Bulgaria e Romania) solo dalla Francia (174 miliardi) e seguita da Regno Unito e Germania. Nel decennio 1985-1995 l'Italia ha dismesso per 20 miliardi e nel successivo (1996-2005) per 127,5 miliardi con un record di 25 miliardi nel 1999. Infine nei 7 anni (2006-2012) ha venduto per 9,6 miliardi.Tutti i settori sono stati coinvolti:banche e finanza, immobiliare, manifatturiero, telecomunicazioni, trasporti, costruzioni, energia, agricoltura, utilities,risorse naturali ed altro ancora. Per individuare le più importanti si possono usare molti criteri tra cui il settore in uno o più anni e le quote di una stessa azienda o gruppo ceduta in un anno e in più anni.Limitiamoci a richiamare che dal 1985 al 2012 delle 219 privatizzazioni (classificate per il controvalore in euro su base annuale ) quindici sono state tra 1 e 2 milioni di euro, altre quindici tra 2 e 5 milioni, cinque tra 5 e 10 milioni, due sopra i 10 milioni. In totale sono state quasi otto privatizzazioni all'anno. Il che non è poco.

Il presente e il futuro. La domanda è se e come continuare. Dismettere adesso in Italia sarebbe difficile o sbagliato per due ordini di motivi. Perchè i mercati sono deboli; perché le privatizzazioni/dismissioni devono essere precedute in alcuni settori da razionalizzazioni mentre in altri è necessaria una presenza pubblico-privato con una strategia di medio-lungo termine.

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