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Questo articolo è stato pubblicato il 19 agosto 2013 alle ore 07:15.

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Egitto, i generali ora temono la continuazione delle proteste - Al-Sisi: c'è spazio per tutti

L'impiego dell'esercito egiziano nelle operazioni di repressione interna potrebbe evidenziare problemi di tenuta, specie se le violenze dovessero prolungarsi nel tempo. La disponibilità dei soldati ad usare le armi contro i manifestanti potrebbe decrescere nascere a causa degli ampi consensi popolari raccolti dai Fratelli Musulmani anche tra i membri delle forze di sicurezza e tra i militari.

Un rischio ancor più tangibile tra i 300mila poliziotti e membri delle forze paramilitari gestite dal Ministero dell'Interno e pesantemente infiltrate dalla "fratellanza" durante la presidenza di Mohamed Morsi. Se ufficiali e soldati professionisti sono da considerarsi affidabili e in gran parte poco inclini ai Fratelli Musulmani va tenuto conto che dei 340mila militari dell'esercito egiziano ben 260 mila sono di leva. Anche il richiamo in servizio dei 360mila riservisti di pronto impiego, quelli cioè che hanno qualifiche militari specifiche o hanno prestato servizio in tempi recenti, potrebbe dare qualche sorpresa spiacevole al generale Abdel Fatah al-Sisi.

Per scongiurare il rischio di tenuta i militari puntano a trasformare il confronto nelle strade e nelle piazze egiziane da una repressione che assomiglia a una guerra civile a un conflitto contro terroristi e movimenti "nemici dello Stato".

Vanno forse lette in questo senso la minaccia di mettere fuorilegge i Fratelli Musulmani a causa delle azioni di milizie riconducibili a questo movimento, l'accusa all'ex presidente Mohamed Morsi di aver permesso un'ampia diffusione di armi presso i civili così come l'enfatizzazione del ruolo di al-Qaeda nei disordini in molte città egiziane. Non c'è dubbio che i terroristi siano già presenti in Egitto e che la stessa al-Qaeda approfitti delle tensioni per allargare la sua area operativa dal Sinai (grazie alle cellule da anni insediatesi a Gaza) a tutto l'Egitto.

Ciò nonostante l'arresto annunciato ieri di Mohamed al Zawahri, il fratello del leader di Al Qaida Ayman al Zawahri, accusato di essere "un leader della Jihad Islamiya", lascia intendere che i militari egiziani puntano a caratterizzare lo scontro come un conflitto nazionale contro i terroristi. Uno schema non nuovo, forse suggerito dagli "sponsor" sauditi che stanno rimpiazzando gli Stati Uniti come punto di riferimento per i generali egiziani, ma non nuovo in Medio Oriente ed emerso negli ultimi due anni Siria .

Come al Cairo anche a Damasco le forze armate rappresentano tradizionalmente il baluardo di modernismo e laicità. Ciò nonostante una parte di militari siriani disertò per costituire il primo embrione di resistenza armata contro il regime di Bashar Assad contribuendo ad addestrare al combattimento molti ribelli civili. Uno scenario che in queste ore preoccupa anche i generali egiziani.

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