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Questo articolo è stato pubblicato il 22 agosto 2013 alle ore 06:50.
L'ultima modifica è del 22 agosto 2013 alle ore 07:54.

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Incandidabilità e legge Severino, a chi spetta l'ultima parolaIncandidabilità e legge Severino, a chi spetta l'ultima parola

Nel clima da "ultima spiaggia" che si preannuncia in vista del prossimo voto della Giunta delle elezioni del Senato sulla decadenza di Berlusconi, vale la pena forse di riflettere su tre punti ancora.
Il primo riguarda il problema sollevato da alcuni sulla applicabilità della legge Severino nella parte in cui sancisce l'incandidabilità e la decadenza a seguito di condanne per fatti commessi anteriormente all'entrata in vigore della stessa legge, in relazione al principio di irretroattività delle pene e più in generale delle sanzioni. Chi scrive è convinto che il dubbio sia infondato, in quanto non si tratta di applicare una nuova sanzione per fatti anteriori alla legge, ma di far valere una causa di ineleggibilità che il legislatore del 2012 ha voluto introdurre come limite al generale diritto di elettorato passivo: causa che dipende dall'esistenza, al momento dell'elezione o durante il mandato, di condanne penali definitive di un certo tipo, sia pure pronunciate per fatti anteriori. Ma poiché viene avanzato da molte parti il dubbio sulla costituzionalità della legge, ritenendo invece che siamo di fronte ad una (nuova) sanzione per il reato commesso, di cui dunque sarebbe vietata l'applicazione retroattiva, la Giunta delle elezioni, o forse meglio l'assemblea del Senato su proposta di questa, potrebbe, d'ufficio o su istanza di parte, sollevare la questione davanti alla Corte costituzionale, sospendendo il giudizio in attesa della pronuncia di questa, ove valutasse tale dubbio non già necessariamente fondato, ma anche soltanto «non manifestamente infondato».

Non è mai accaduto finora che un incidente di costituzionalità di una legge fosse sollevato da un ramo del Parlamento: ma ciò non toglie che la procedura in corso davanti al Senato sia senz'altro assimilabile ad un giudizio in cui può innestarsi una questione di legittimità costituzionale. Da un punto di vista procedurale non vi sarebbero ostacoli: il Senato, quando si pronuncia sull'esistenza di una causa di ineleggibilità, non prende una decisione "politica", ma «giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità» (articolo 66 della Costituzione: che poi questa previsione costituzionale neghi a tali controversie un "vero" giudice, terzo e imparziale, è un'altra questione, che andrebbe affrontata in sede di revisione del testo costituzionale).
Non è decisiva l'obiezione secondo cui il Parlamento, se ritiene incostituzionale una legge, la cambia, e non si rimette alla Corte costituzionale. Infatti in questa sede il Senato non è chiamato a legiferare, ma ad applicare la legge come "giudice": in quanto tale ha, come tutti i giudici, il potere-dovere di rimettere alla Corte i dubbi non manifestamente infondati di legittimità costituzionale della legge che si accinge ad applicare.

Il secondo punto riguarda gli effetti della (non) applicazione immediata della legge Severino, nel caso in cui venisse sollevata la questione di costituzionalità. In realtà sarebbero effetti assai limitati nel tempo, poiché la decadenza di Berlusconi dovrebbe poi essere inevitabilmente dichiarata non appena diventerà definitiva la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici, che la Corte d'Appello rideterminerà nella durata: e a quel punto non vi sarebbe alcuna questione di retroattività. Si "guadagnerebbe" solo un po' di tempo: non molto, perché la pronuncia della Corte d'Appello è imminente, e l'eventuale ricorso in Cassazione prolungherebbe di poco l'attesa, anche perché sarebbe probabilmente destinato ad essere rapidamente dichiarato infondato, se non addirittura inammissibile. E allora, ci si può chiedere, perché cercare di guadagnare solo qualche mese, se l'esito finale è comunque segnato? Anche se nel frattempo (malauguratamente) si dovesse arrivare allo scioglimento delle Camere, Berlusconi sarebbe comunque (prima o dopo) ineleggibile, almeno in forza dell'interdizione. O qualcuno pensa che si potrebbe violare palesemente la legge?
E veniamo al terzo punto: il timore "politico" che viene agitato come motivo per tentare di evitare la decadenza è che, venuto meno lo status di parlamentare di Berlusconi, "qualche Procura" ne "approfitti" per colpirlo con una misura restrittiva della libertà personale, ovviamente in relazione a procedimenti diversi da quello chiuso con sentenza definitiva, e dunque a titolo di custodia cautelare.

Ma è un'ipotesi "fantagiudiziaria", oltre che oltraggiosa per la magistratura. Intanto, non sono le Procure a poter disporre misure di custodia cautelare, ma i Giudici delle indagini preliminari, col controllo successivo del Tribunale collegiale, o i collegi giudicanti. In secondo luogo, e soprattutto, non è pensabile che un giudice, nell'ambito di procedimenti in cui fino ad oggi nessuno si è sognato di invocare misure restrittive nei confronti del senatore Berlusconi (che avrebbero dovuto essere autorizzate dal Senato) si svegli all'indomani della decadenza per disporre un arresto, in evidente mancanza di esigenze cautelari, se non altro perché l'ex senatore si troverebbe nel frattempo già ristretto nella sua libertà personale per scontare la condanna divenuta definitiva con la pronuncia della Cassazione.

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