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Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2013 alle ore 12:29.

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L'ultima in ordine di tempo delle varie strade intraprese dalla difesa di Berlusconi, condannato dalla Cassazione a 4 anni di reclusione per frode fiscale (ridotto ad 1 per via dell'indulto) e alla pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici (in secondo grado, la condanna era stata di 5 anni; la Suprema corte ha annullato la condanna e rinviato ad altra sezione della Corte d'appello di Milano perché la ridetermini, nella durata, da 1 a 3 anni; l'udienza si terrà il 19 ottobre) si chiama ricorso alla Corte europea dei diritti dell'Uomo (Cedu). Un organismo del Consiglio d'Europa con sede a Strasburgo, che da anni tiene nel mirino il nostro sistema giudiziario soprattutto per l'eccessiva durata dei processie e le condizioni delle carceri, fattori che incidono sui diritti dell'uomo riconosciuti a tutti i cittadini. Ma quella di Strasburgo è solo una delle varie ozioni sul tavolo: vediamole da vicino.

Il ricorso alla Corte europea dei diritti dell'Uomo
Nel ricorso alal Cedu, 33 pagine firmate dallo stesso Berlusconi , si chiede la condanna dello Stato italiano per la violazione di tre articoli della Convenzione europea, a cominciare dall'articolo 7 che disciplina il "nulla poena sine lege", ovvero il principio di irretroattività. In particolare, Berlusconi chiede di dichiarare la responsabilità dell'Italia «perché l'applicazione nei confronti del ricorrente delle disposizioni del decreto legislativo 235/2012 (il "Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità", noto anche come "legge Severino", approvato a fine 2012, ndr), in tema di incandidabilità e conseguente decadenza del mandato a seguito dicondanna per fatti commessi anteriormente alla sua entrata in vigore è contraria al divieto di retroattività delle sanzioni penali». L'articolo 7 sarebbe violato anche perché lesivo del «principio di legalità, sufficiente predeterminazione e proporzionalità delle sanzioni penali».

L'incandidabilità violerebbe anche l'articolo 3, Protocollo n. 1 della Convenzione in quanto «costituisce una restrizione del diritto di elettorato passivo, che non soddisfa i requisiti di legalità e proporzionalità rispetto allo scopo perseguito e che viola il divieto di discriminazione», oltre a ledere il diritto di Berlusconi «nella sua veste di leader di uno dei maggiori partiti politici italiani, di continuare a rivestire la carica parlamentare e la legittima aspettativa del corpo elettorale alla permanenza in carica dello stesso», in virtù di una «decisione sulla decadenza» affidata a un «organo politico (la Giunta per le Elezioni del Senato) in difetto di qualsiasi possibilità di controllo esterno da parte di un'istanza indipendente e imparziale». Da ultimo, l'Italia violerebbe l'articolo 13 della Convenzione, «perché il ricorrente non dispone di alcun rimedio accessibile ed effettivo per far valere le doglianze» elencate.

In attesa della prima riunione della Giunta sul "caso Berlusconi" il presidente Dario Stefano (Sel), ha dichiarato che «il ricorso in sede europea non cambia nulla» rispetto ai lavori già fissati: «Il ricorso a Strasburgo va valutato con attenzione ma non possiamo bloccare l'iter della giunta». Oggi, i rappresentanti del Pdl in Giunta potrebbero comunque chidere una sospensione dei lavori in attesa del pronunciamento della Corte europea almeno sull'ammissibilità del ricorso. Il ricorso alla Cedu, se accolto, prevede una procedura complessa per la sua valutazione, che potrebbe inpiegare non meno di un anno prima di arrivare ad una sentenza di merito.

Ricorso alla Corte costituzionale I ("Schema Violante")
Per molti osservatori, la relazione di 90 pagine che oggi il relatore pidiellino Andrea Augello presenterà in Giunta chiederà proprio questo: promuovere un ricorso alla Consulta per quanto riguarda l' applicazione della legge Severino su decadenza e incandidabilità del senatore Silvio Berlusconi. La via di un'istanza alla Corte costituzionale per accertare senza ombra di dubbio la legittimità delle legge Severino è quella che nelle ultime settimane è stata ribattezzato "Schema Violante", dal nome del giurista ed ex presidente della Camera Luciano Violante (Pd).

Ancora incerto se l'istanza (peraltro, ipotesi bocciata nel recente passato dalla Giunta per altri casi) possa essere presentata direttamente dalla Giunta. Violante lo ritiene possibile («La Corte costituzionale ha ritenuto che il procedimento in Giunta è di carattere giurisdizionale»), mentre altri giuristi, come il presidente emerito della Consulta Valerio Onida, ritiene necessario un passaggio in Aula. La strada ipotizzata da Violante è stata appoggiata in pratica da eminenti giuristi che hanno presentato in Giunta pareri pro veritate su richiesta della difesa del Cavaliere, mentre il Pd ha èpreso ufficilmente le distanze dall'idea di un ricorso alla Consulta.

Ricorso alla Corte costituzionale II
Esiste poi la possibilità, remota, che la difesa di Berlusconi tenti di sciogliere il nodo della decadenza del Cavaliere attrverso un "incidente di esecuzione della pena", da porre all'attenzione del giudice di esecuzione della pena che è l'unico magistrato al quale ci si potrebbe rivolgere nella fase in cui è giunta la vicenda Berlusconi, essendo già stata emessa una sentenza definitiva di condanna nei suoi confronti. Il giudice d'esecuzione della pena potrebbe optare per due soluzioni: o respingere tale richiesta o accoglierla e considerare non manifestamente infondata la questione dell'irretroattività della legge Severino. L'incidente dell'esecuzione della pena, infatti, potrebbe essere sollevato puntando proprio sulla tesi dell'irretroattività della norma. Se il magistrato dovesse propendere per questa seconda soluzione, dovrebbe rinviare gli atti alla Corte costituzionale.

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