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Questo articolo è stato pubblicato il 15 settembre 2013 alle ore 15:08.
È pur vero che a dettare la politica di austerità non è stata direttamente la Germania, bensì la troika, cioè la Commissione Europea, la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale, una sorta di autorità sovranazionale senza né investitura democratica, e senza neppure un nome, ma che di fatto dal 2010 va governando Grecia, Cipro, Irlanda e Portogallo e in modo apparentemente più leggero Spagna e Italia.
Il sociologo tedesco Wolfgang Streeck, nel suo libro Tempo guadagnato (Feltrinelli 2013), che sta provocando un ampio dibattito, si chiede se la democrazia elettorale sia ancora compatibile con le politiche economiche neoliberiste che l'Unione Europea impone, con l'incoraggiamento e la spinta da lontano di Washington e Wall Street.
Forse non è una esplicita egemonia quella tedesca, ma certamente un condizionamento e un insegnamento imperativo continuo e le mancanze di legittimazione democratiche, non solo a livello di troika, si giustificano ormai ovunque con il solito "stato di eccezione", che delegittimando le istituzioni legittima ogni abuso.
Quel che tuttavia appare più strano è che non solo la visione di Helmut Kohl è lontanissima da quella dei politici tedeschi attuali, ivi compresa la cancelliera Merkel, ma che tutta la campagna elettorale per le elezioni del 22 settembre non abbia mai avuto come argomento di rilievo il futuro dell'Europa, quasi che la crisi non ponga delicate questioni sull'Eurozona, sull'architettura giuridica dell'Unione Europea e sul posto e la funzione della Germania. I candidati hanno fatto del loro meglio per evitare questi discorsi, meritandosi il rimbrotto del filosofo Jürgen Habermas, che ha bollato questa volontà di dimenticanza e questo desiderio che l'Europa dimezzata e in costante crisi rimanga tale, come un fallimento collettivo delle élite politiche tedesche.
Sembra dunque a me che i risultati delle votazioni democratiche tedesche non possano ridurre la Germania ad avere in Europa solo delle "belle finestre ben chiuse" (dikte und schöne Fenster), come dichiarò fin nel 2004 Angela Merkel, anche se nell'ultimo secolo i tedeschi non hanno mai votato in una situazione per loro così economicamente e politicamente florida. Gli effetti tuttavia delle politiche generali di austerità non hanno ancora avuto le loro ripercussioni anche negli Stati che finora sono stati poco colpiti e anzi si sono giovati della crisi. La stessa Germania, invero, qualche debolezza comincia a soffrirla: dall'invecchiamento della popolazione alla scarsa immigrazione, al costo dell'energia più elevato del 40% rispetto alla Francia dopo l'abbandono dell'energia nucleare, ad un sistema bancario con rilevanti problemi e persino con un sistema universitario che pur ancora buono ha perso certamente il primato d'eccellenza che aveva. È indispensabile dunque che i cittadini tedeschi e le classi dirigenti si rendano conto che l'Europa non può rimanere dimezzata e che l'Unione fiscale, economica e politica non può attendere. Non pare inutile allora ricordare loro, come ha fatto il settimanale liberale Die Zeit, che essi mal comprendono non solo il loro passato, poiché fu la deflazione e non l'inflazione che precedette immediatamente la salita al potere di Hitler, ma anche la realtà presente che nasconde i gravi pericoli di una diffusa deflazione.
È tempo allora che la Germania segua il consiglio di Bismarck contenuto nel famoso discorso al Reichstag nel 1878, che la esortava ad evitare di divenire "Der Schulmeister in Europa", la maestrina d'Europa.
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